Ostigliano, aspetti di vita: un’economia agricola…
| di Giuseppe ConteIl Cilento, nel corso dei secoli, si è caratterizzato per un’economia sostanzialmente agricola. Tuttavia, la diversità territoriale ha innestato un percorso produttivo differenziato da una zona all’altra.
I piccoli centri rurali del Cilento hanno sempre fondato la loro esistenza, sul sopravvivere quotidiano, special modo i centri collinari, fra i quali gravita Ostigliano.
Al fronte di una più consolidata tradizione agricola di carattere generale, va evidenziato che il villaggio si sia in qualche modo distinto per un’agricoltura specializzata, oltre a quella di stampo “domestico”, atta a soddisfare le esigenze primarie.
Stiamo parlando delle coltivazioni dei ben noti “fichi bianchi”, i quali un tempo, e per lunghi periodi, hanno costituito fonte di sostentamento per le genti locali.
Tale tradizione, ovviamente era ben diffusa, in parte come ancora oggi, in tutto il territorio circostante, ma Ostigliano si distingueva per la prevalenza in questo settore; settore che lo portò alla notorietà, soprattutto negli anni ‘50 del ‘900 ultimo scorso.
Un’economia che esisteva già negli anni precedenti, ma che solo con le prospettive economiche del ‘900, a seguito anche di un tentativo di ripresa dopo i grandi conflitti mondiali, riesce ad imporsi in modo più o meno soddisfacente.
Purtroppo l’impennata che portò al boom nel settore, ebbe vita breve, tanto che già negli immediati lustri successivi agli anni ‘50, tale produzione si è rapidamente arrestata.
Ne è derivata l’attuale situazione e delle antiche coltivazioni rimane davvero molto poco.
Ad oggi, il frutto del fico, oggetto di una sorta di riqualificazione, e in un certo senso, oggetto di un tentativo di reinserimento forzato nel mercato, è considerato di un più alto rango, e quello bianco del Cilento continua a conservare il suo alone di qualità.
Ad Ostigliano si produceva in quantità sufficienti, tali da poter permettere la sua esportazione e diffusione, non solo nel territorio circostante, ma per vie traverse anche al di fuori dei confini territoriali sia storici che geografici.
Non è mio campo, ne è mia intenzione in questo contesto affrontare anche la storia delle tecniche agricole, ma una semplice descrizione, dedotta da sporadiche conoscenze, va comunque annoverata e brevemente documentata per rendere accessibili le finalità di una storia ormai passata.
Di sicuro, agli albori della storia economica locale, il fico non godeva di particolari considerazioni, forse per la sua abbondanza; tuttavia erano ben note le sue proprietà. Se non di nobiltà è stato per lungo tempo inserito nella più antica e classica delle tradizioni alimentari del nostro Cilento.
Esaltandolo a frutto povero, sappiamo che nella sua umiltà non necessitava di particolari attenzioni.
Spesso, più che altro, era come un alimento di supporto, e veniva impiantato all’interno di più note e produttive coltivazioni.
Non di rado, anzi nella quasi totalità dei casi lo troviamo in mezzo alle piantagioni di ulivo, ed è probabile che una sua più intensa produzione, sia nata per caso, proprio in seguito alla deduzione che non necessitava di particolari riguardi, se nonché una semplice – per così dire – manutenzione, la quale non troppo ostacolava e non richiedeva sforzo al lavoro del contadino.
In conseguenza di questa deduzione, il fico venne rivitalizzato, e le sue coltivazioni si intensificarono, facendo si che in alcuni spazi agricoli, erano quasi di pari numero ai più redditizi uliveti.
Per quanto riguarda le sue varietà, ne abbiamo diverse, ma il Cilento lo ha reso noto per quello bianco, di cui per un certo mercato ne è la patria.
Ritornando alla situazione ostiglianese, l’intensificarsi dell’attività produttiva, richiese, soprattutto nel periodo di raccolta, una copiosa mano d’opera, e per questo fino alla metà inoltrata del ‘900, Ostigliano attirava genti anche dai paesi dell’interno, i quali costituivano sostegno fondamentale per l’estrapolazione del frutto ed una sua più intensa produzione.
Ciò faceva di Ostigliano un centro d’impiego stagionale e stanziale da parte dei forestieri, i quali per sopperire alle distanze giornaliere, che intercorrevano tra i loro paesi di provenienza e il villaggio, spesso risiedevano in loco durante il lasso di tempo che coinvolge la seconda parte dell’estate.
Ne deriva che il paese s’incrementava demograficamente nei periodi di raccolta e ne conseguiva la costituzione di una sorta di insediamento stagionale.
Bello è anche ricordare, che questo movimento migratorio, in qualche modo veniva ricambiato; agli inizi della stagione estiva, dal Cilento costiero e collinare, una discreta manovalanza si spostava verso l’interno per partecipare alla mietitura del grano. Grandi distese di spighe si trovavano nelle vallate interne, come nella zona di Pruno, una sella fra le alture del Cervati e il monte Gelbison.
Un meccanismo ciclico, che innestava scambi anche a livello sociale e culturale.
Accenniamo anche alla commercializzazione del prodotto, il quale oggi viene prevalentemente immesso sul mercato secondo le tradizionali conservazioni, mentre in passato, la maggior quantità, circolava come prodotto grezzo, subendo solo la tradizionale essiccazione, la quale avveniva in forni appositi, situati sui laterali delle famose “passolare”, o al calore del sole estivo sulle tradizionali “grate”.
Spesso i due metodi venivano assemblati per rendere più veloce il meccanismo ma anche per una maggiore resa e qualità.
Nelle ricette classiche va annoverata la preparazione re le ffico mbaccate, ossia una sorta di ripieno (originariamente noci e/o finocchio selvatico, e, in i tempi più recenti altri aromi).
Quest’idilliaco quadro si spense ben presto, e, come già ricordato, a partire dagli immediati anni successivi ai ‘50 del ‘900, le coltivazioni del fico, subiscono un drastico declino.
Causa di ciò è essenzialmente la progressiva mancanza di mano d’opera, la quale ora si rivolge ad un mercato più produttivo, e s’intensifica una profonda migrazione verso i territori più attivi e dove sia più facile trovare impiego; un impiego soprattutto più redditizio e che, con meno sforzi poteva garantire più certezza economica. Bisogna tener presente che la commercializzazione dei fichi si è progressivamente deteriora ed ha conseguentemente portato ad un indebolimento delle coltivazioni ed al loro conseguenziale abbandono.
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