Aprile e Pasca re l’Ova: viccio, pizzicoccu, miscìmisciolla

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Aprile e Pasca re l’Ova: viccio, pizzicoccu, miscìmisciolla

“Viccio, pizzicoccu e miscìmiscìolla” non è uno scioglilingua e non si tratta nemmeno di tre diversi oggetti di discussione. Tre nomi diversi, comunemente usati su tutto il territorio, ma stessa sostanza per il contesto popolare del Cilento che identifica in essi il classico pezzo di pane con le uova incastonate, realizzato in occasione della Santa Pasqua, detta anche “Pasca re l’ova”, distinguendola da “Pasca Bufanìa” (Epifania) e da “Pasca re li Juri” (Pentecoste).
Durante l’ultima panificazione prima della festa si realizzavano queste forme di pane da regalare ai bambini e alla persona amata. Esso può essere sia semplice che salato e arricchito con vari salumi e formaggi. L’uovo è qui simbolo di vita primordiale e l’aspetto che si da al “viccio” viene definito in base al destinatario: generalmente, se si tratta di un bambino avrà le sembianze di un neonato in fasce con l’uovo che raffigura la testa o l’ombelico; tra gli adulti e sulla tavola della festa si trova la forma “a tortano”, rotanda, simbolo del ciclo vitale, e con l’uovo al centro, o intrecciata e con più uova incastonate. Le bambine, in particolare, ci giocavano come si farebbe oggi con una delle modernissime bambole, fino a quando, data la consistenza, non si rompevano e non restava che mangiare l’uovo.
Possiamo avanzare l’ipotesi che il termine “viccio” stia ad indicare proprio la forma che viene data al pane, rotonda e piccola ma confortevole per una nuova vita che nasce. Da non confondere con “vicciddu”che , invece, sta ad indicare la pasta del pane zuccherata. Nel Cilento antico, la “vicciadra” era colei che vendeva i “vicci” e la “viccianàta” li confezionava. Il termine “pizzicoccu” lascia in ombra gli aspetti simbolici e fa riferimento alla sostanza stessa della pasta, con “pizzi”, e con “coccu” che significa “uovo”. “Miscìmiscìolla”, invece, è molto usato a Castellabate. Dalle diverse ricerche e tra le persone interpellate sull’origine del termine non viene fuori una risposta ben precisa, si potrebbe trattare di un nomignolo tanto curioso quanto tenero se si pensa al fatto che, in altri contesti, si usa per chiamare e attirare a sé il gatto, comunemente chiamato “micio”.
I “vicci”, il cui profumo faceva sognare grandi e piccini, venivano portati in chiesa per la benedizione durante la settimana santa. Alla loro preparazione si accompagnava quella dei calzoni farciti con “jeta”(bieta selvatica), alici e “passuli”. Tra le classiche “pizze re Pasca”, protagonista è la beneamata “pizza chiena”: come suggerisce già il nome, si tratta di una gustosa sfoglia “ripiena” con formaggio di capra fresco, uova sode e “suppressata” lavorata artigianalmente in casa. Veniva lasciata riposare un’intera giornata per poi essere gustata il giorno di Pasqua o il giorno di Pasquetta.
Infine, insieme a questa ricorrenza e alle tradizioni gastronomiche ad essa legate, non possiamo fare a meno di citare qualche proverbio che riguarda il mese di aprile:
Quanno ‘a jeruta se vere a marzo, ‘u patrone staie nzullazzo; si esce a aprile ù patrone cu malavoglia rire.
(Quando le piante fioriscono a marzo, il padrone è contento; se invece fioriscono ad aprile ride malvolentieri)
Aprile frischiariello, assai grano e poco veniello.
(Il mese d’aprile se è fresco lino condiziona i raccolti: sarà positivo per il grano mentre sarà meno positivo per le viti e per la produzione del vino)
Altri proverbi, come quello riportato di seguito, si rifanno a fatti e condizioni proprie di un determinano momento ma vogliono trasmettere tutt’altro messaggio:
L’ova ca nun se ngegnano a pasca nun se ngegnano cchiù.
(I fatti, le cose eclatanti e importianti, o si dicono subito o non si dicono più)

 

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