«I rifiuti tossici sono interrati anche nel Cilento»
| di Luigi MartinoIl processo Chernobyl si è aperto giovedì mattina nelle aule del tribunale di Salerno. Aule gremite di persone provenienti da ogni parte del Cilento e Vallo di Diano. L’inchiesta è partita da Santa Maria Capua Vetere e ora la lente di ingrandimento dei pm si è spostata più a sud. Un passaggio di atti tra procure avvenuto in realtà tre anni fa, nel 2010. Sono imputate 39 persone, tra cui imprenditori del Vallo di Diano, accusati a vario titolo di crimini ambientali, traffico illecito di rifiuti speciali, danneggiamento aggravato, falso e truffa ai danni di enti pubblici e disastro ambientale in concorso. Molti hanno creduto, fino a questo momento, che il Parco nazionale del Cilento restasse un paradiso immune da certi illeciti e danni ambientali irreparabili, ma così non è.
La mappa Un territorio sconfinato diviso, per meglio ‘’lavorare’’, in quattro aree dove venivano abbandonati rifiuti tossici pericolosi. Il modus operandi restava sempre lo stesso: sotterrati nei campi agricoli o abbandonati sulle sponde dei fiumi. La prima linea di smaltimento dall’area casertana: qui venivano recuperati rifiuti pericolosi, alcuni direttamente negli impianti utilizzati per la depurazione, e trasferiti tra le province di Salerno, Avellino e Benevento. Una seconda direttrice aveva quale fulcro direttamente la provincia di Salerno, con l’utilizzo di un impianto di Mercato San Severino. Infine Napoli – altra stazione di partenza dei rifiuti – e Foggia: diventata la nuova frontiera per sversare i veleni. Queste quattro macrozone venivano a loro volta suddivise in aree minori. Quella del salernitano, ad esempio, è stata spartita in altre sei zone più piccole: località Tempa Cardone a San Pietro al Tanagro, zona Buco Vecchio a Teggiano, località Sannizzi a Sant’Arsenio, località Via Larga a San Rufo, località Serroni di Montecorvino Rovella, zona ponte Barizzo a Capaccio. Ai sindaci di tali comuni, è giunta la sollecitazione a costituirsi parte civile nel processo Chernobyl da parte del Codacons di Salerno e del Vallo di Diano
I materiali C’è di tutto sotto le montagne verdi e le colline coltivate a sud del capoluogo di provincia. Scarti di tessuti vegetali, urine e letame di animali – comprese lettiere usate – fanghi prodotti da trattamento di lavaggio rifiuti in alcuni depuratori, residui della distillazione di bevande alcoliche, miscugli triturati di scorie di cemento e agenti chimici, liquidi prodotti dal trattamento di rifiuti di origine animale, fanghi prodotti dal trattamento delle acque delle fognature e di impianti industriali. Addirittura i fanghi delle fosse settiche delle navi approdate nel porto di Napoli. Un mix letale per le mandrie che pascolano e i contadini che coltivano ortaggi e frutta.
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