Sonorità reggae dal Cilento: intervista ai Tough Tone

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Sonorità reggae dal Cilento: intervista ai Tough Tone

Sono cinque, fanno reggae, si sono classificati quinti su 30 band provenienti da tutta Italia al PMC andando ad aprire i concerti di Krikka Reggae e 24 Grana e ora sono pronti a suonare prima di Tre Allegri Ragazzi Morti e Vegetable G sulla spiaggia di Agropoli in occasione dell’Indie Mon Amour: sono i Tough Tone.

Per l’occasione li abbiamo intervistati.

D: Presentatevi ai nostri lettori: chi sono i Tough Tone?
R: Siamo cinque musicisti uniti da una visione comune della musica… uniti dalla passione comune per le vibes che il reggae sprigiona.

D: Ognuno di voi ha un suo nick personale: Nazario “Highman” Bizzoco, Raffaele “Dott. Raffaman” Cassese, Valentino “Rudy Roots” Curcio, Domenico “DomeRas” Lapenta, Carlo “HI-Pass” Lopardo. Da dove nasce l’idea di munirvi di questi nick e come sono stati scelti?
R: Ahah… veramente sono usciti fuori col tempo e come al solito scherzando un po’, in base a caratteristiche o a fatti successi… nel mio caso Highman è relativo alla mia altezza spopositata… ahahah

Rudy Roots: Il mio invece è per la mia proverbiale finezza.

D: Avete suonato al PMC Music Contest di Vallo della Lucania classificandovi quinti su 30 band provenienti da tutta Italia e andando a suonare sul palco di Voci dal Sud insieme a Krikka Reggae e 24 Grana. Ora dividerete il palco con i Tre Allegri Ragazzi Morti, anche loro freschi della svolta reggae di “Primitivi Del Futuro”, all’Indie Mon Amour di Agropoli: siete soddisfatti di come stanno andando le cose?
R: Il PMC è stata una bellissima esperienza che tra l’altro ci ha fatto conoscere diversi musicisti con cui si è instaurato un buon rapporto e che soprattutto ci ha portato al Voci dal Sud dove abbiamo condiviso il palco con i Krikka e Baciamolemani. Ovviamente siamo molto contenti di come stanno iniziando a muoversi le cose ma sappiamo benissimo di essere ai primi gradini di una scala che vogliamo percorrere con grinta e costanza.

D: Una delle cose che più mi ha colpito di voi è l’uso del synth miscelato al sax di Raffaele “Dott. Raffaman” Cassese: com’è nata l’idea di processare un sassofono tramite un synth?
Dott. Raffaman: a essere precisi il sax non viene processato da un synth, ma più esattamente il suono naturale del sax, la radice, attraversa alcuni effetti che io utilizzo in live e in studio. Effetti come phaser, delay, tremolo e riverbero. Questo dà un colore sintetico al sax, la cui radice però deve rimanere sempre in evidenza. Ho optato per questa soluzione perché sono sempre stato attratto dalle sonorità elettroniche e particolari del mondo dell’effettistica e mi sono detto: “perché non provare anche su sax?”. Questa scelta si è rivelata giusta e dal quel momento ho cercato e cerco sempre di studiare nuove situazioni e nuove sonorità per conferire quel colore etereo, rilassato e un po’ onirico che il sax acquisisce nei nostri brani, accoppiandosi cosi perfettamente alla nostra doppia indentità: Roots e Dub.

D: Voi provenite dall’esperienza “Flubber”, con i quali suonavate ska dalle influenze punk: raccontateci un po’ del passaggio al reggae puro con i Tough Tone.
R: In realtà oggi è difficilissimo parlare di “reggae puro” e forse non lo si può fare, ma questo è normale e forse è giusto che sia così. Il passaggio è stato per noi molto graduale e quasi fisiologico. Dal Punk iniziale ci siamo spostati verso lo ska dopo l’ingresso del sax… da li è iniziato il viaggio nella musica in levare, viaggio che ci ha portato a trovare casa nelle sonorità reggae. Il nostro brano “Verso Casa” in effetti parla di questo. È la sensazione che provi quando torni a casa, il senso di protezione e di comodità che hai quando sei nel luogo preciso in cui vorresti essere.

D: Il reggae è spesso un genere autoreferenziale: voi ascoltate anche altri tipi di musica? Siete aperti magari a sperimentare altre forme musicali nella vostra musica in futuro?
R: Penso che un musicista non possa crescere se ascolta solo quello che fa. Siamo ovviamente particolarmente attratti dalla black music, dal soul, dal funk perché in questi generi ritroviamo parte di noi e di quello che facciamo, ma lungi da noi privarci di gruppi come Radiohead, Pink Floyd, Doors, Fabrizio De André ecc ecc… la lista sarebbe lunga!!! Ad ogni modo, per quanto riguarda il futuro posso solo dirti che non so cosa faremo, come si evolverà il nostro sound e che direzioni prenderà e questa è la cosa più bella… scoprirlo strada facendo. Di una cosa siamo certi: una volta provate le vibes è quasi impossibile lasciarle.

D: Provenite da varie zone del Cilento ma avete base ad Agropoli. Seguendo l’esempio di chi lavora in equipe per diffondere il movimento reggae sul proprio territorio (un po’ come fa la Krikka Reggae con Brigante Sound per la Basilicata o come fanno i molti sound e cantanti napoletani che stanno sviluppando un nucleo davvero interessante) credete nella possibilità di creare una vera e propria scena reggae cilentana? O quanto meno allargare le vedute di quella che è la scena salernitana?
R: È difficile fare rete in generale, ma ci sono delle potenzialità da sfruttare meglio per quello che riguarda il nostro genere. Ci piacerebbe traghettare la scena perché nel Salernitano siamo un po’ più conosciuti. Alla fine se al pubblico proponi un progetto diverso, realizzato col cuore, non vedo perchè non possa appassionarsi al reggae, nonostante non sia molto gettonato dalle nostre parti.

D: Negli ultimi anni stanno nascendo varie band interessanti nel Cilento, soprattutto nella zona di Agropoli che vanta fra tutte gli …A Toys Orchestra, ormai ultraosannati in tutta Italia: quali sono le band cilentane che più hanno colpito voi?
R: Gli …A Toys sono nostri amici e hanno aperto un po’ la strada agli altri. Il loro successo ha incoraggiato tutti i musicisti emergenti del territorio. Altre band del Cilento che stimiamo e cerchiamo di supportare sono i Maybe I’m e Yes Daddy Yes.

D: L’anno scorso è stato organizzato il Caleo Reggae Festival ad Acciaroli con l’intento dichiarato di esportare il “modello salentino” nel Cilento. La manifestazione già non esiste più. In cosa si è sbagliato? È possibile esportare un “modello” in una terra come la nostra satura di lacune organizzative anche per ciò che riguarda l’attività turistica? E lo si può fare, soprattutto, con eventi isolati come appunto il Caleo Reggae Festival piuttosto che facendo rete?
R: Negli ultimi anni c’è stato un incremento notevole di festival dalle nostre parti. Alcuni hanno ricevuto consensi e sono stati ben supportati dalle istituzioni, ma il problema endemico della disorganizzazione turistica rimane e pesa molto. Fin quando tutte le manifestazioni di musica indipendente saranno viste come concertini freak per sballati non credo si farà molta strada. I paesi del Cilento dovrebbero capire che questi concerti spesso possono essere un volano di sviluppo da non sottovalutare. Si veda per esempio Voci dal Sud, Meeting del Mare e Indie Mon Amour. Non so cosa non abbia funzionato ad Acciaroli, ma penso che invece di importare un modello, potremmo essere bravi anche noi, come i pugliesi, a crearlo.

D: Spostiamoci verso un quadro più ampio, nazionale, quello di un’Italia ancora troppo chiusa come la nostra dove un festival come il Rototom Sunsplash (probabilmente unico evento musicale di caratura mondiale del Belpaese) viene bandito perché considerato diffusore di pensieri malsani: cosa vorreste dire ai politici che hanno fatto in modo che una manifestazione così importante venisse spostata in Spagna?
R: Non ci sono parole, siamo davvero incazzati. È stata una delle tante vergogne nazionali, per di più passata quasi inosservata. Dopo la fuga dei cervelli, ecco la fuga dei festival. A quando la fuga dei politici?

D: È noto (ed anche normale, in fondo, in un mondo come il nostro dominato da un capitalismo incontrollato) come il mercato abbia inquinato anche la musica. Musica che diventa un prodotto usa-e-getta fatto di personaggi che vivono una stagione e poco più per poi scomparire. Musica a cui non viene neanche dato l’adeguato spazio quando vuole crescere sola e libera. Siete musicisti che lottano per fare in modo che il proprio lavoro frutto della passione e dell’amore verso quest’arte venga valorizzato seriamente. È possibile, con tanto lavoro e voglia di suonare dal vivo, riuscire ad emergere secondo voi, soprattutto qui nella provincia di Salerno?
R: Il problema purtroppo non è del personaggio usa-e-getta, che in fondo, pensandoci bene, è una pratica non nuovissima del sistema discografico. Il problema è che sembra che l’andamento generale della discografia mondiale tenda ormai a basarsi solo su questo tipo di prodotti. Oggi il prodotto musicale sembra avere ben poco a che fare con la musica. Il prodotto oggi è il personaggio… la musica è un accessorio che serve a veicolare l’immagine del personaggio… tutto questo è veramente triste. È tristissimo vedere burattini che non distinguono una chitarra da un basso, che riempiono gli stadi, e contemporaneamente incontrare musicisti con i controcoglioni che vanno a suonare, molto spesso, per pochi spiccioli.

D: “… le ideologie, che brucino…”: come vi ponete di fronte al troppo diffuso bisogno imperante dell’etichettarsi anche a livello politico e ideologico. Questo nascondersi sotto bandiere, colori, slogan e “idoli” è insano e forse veramente dannoso per l’unione del popolo che, dividendosi in categorie e “credo”, non riesce mai ad essere sovrano. Qual è secondo voi il muro da abbattere?
R: Questa è una domanda bellissima e mi piacerebbe rispondere con un verso di “Redemption Songs” che dice …emancipate yourself from mental slavery... Il muro da abbattere è quel senso di appartenenza che viene da influenze politiche, sociali, religiose, che alla fine nulla hanno a che vedere coi reali bisogni dell’individuo. Il popolo oggi si è ridotto ad essere sovrano solo quando decide chi votare a X-Factor, e la cosa ci inquieta parecchio.

D: Fra le varie peculiarità del reggae c’è il fatto che sembra sia legato a doppio filo con il restafarianesimo, una religione da molti criticata per la sua intolleranza verso gli omosessuali: qual è il vostro rapporto con questa religione e con la religione in generale?
R: Siamo molto affascinati dal rastafarianesimo, ma la questione dell’omofobia è una deriva musicale dell’ultimo decennio. Da un punto di vista religioso, avendo il rastafarianesimo origini cristiane, ha sfruttato molti passaggi della Bibbia. Inoltre alcune interpretazioni in Jamaica sono state spesso strumentalizzate, specialmente negli ultimi tempi in un paese in cui l’80% della popolazione vive al di sotto della soglia della povertà e interi quartieri di Kingston sono in mano a bande armate e sanguinarie. In questo humus è nata l’avversione al diverso, che non viene dal rastafarianesimo, o meglio non del tutto, fatto sta che Bob Marley non si sarebbe mai sognato di attaccare le comunità gay, come fanno oggi alcuni beceri musicisti giamaicani. Il nostro rapporto con la religione è molto complesso e non può essere diversamente, considerando le visioni a volte deliranti di molti capi spirituali. Cerchiamo di vivere nel modo più naturale possibile, rispettando sempre il creato in ogni sua forma.

D: Progetti attuali e futuri?
R: Ora vogliamo solo suonare suonare e suonare ancora… vogliamo crescere con il nostro live e fare quante più esperienze possibili. Abbiamo iniziato a collaborare da un po’ di tempo con Rupa Rupa Records, etichetta indipendente che si occupa più che altro di reggae music. Questo è stato un incontro importante per noi, che ci sta facendo maturare molto. A breve inizieremo a registrare il nostro primo album che uscirà nel 2012. Per ora ci godiamo questa estate e ringraziamo tutte le persone che ci seguono e che ci donano la loro carica. Jah bless you all!!!

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