“Meno stress e più farfalle”: intervista alla Bandabardò
| di Franco GalatoSuonerà a San Giovanni a Piro l’8 settembre, in occasione di “Equinozio D’Autunno”: è la Bandabardò.
Per l’occasione abbiamo telefonato Erriquez, voce e chitarra della band, in diretta dalla manifestazione del 6 settembre organizzata dalla CGIL a Firenze.
R: Con la manifestazione siamo fermi perché c’è talmente tanta gente che è già intasata. Quest’anno siamo andati in giro come sempre ovunque con tanta generosità da parte di tutti perché tirar fuori 10 euro per andare a un concerto è veramente un atto di amore incredibile. Abbiamo toccato con mano la crisi in regioni come la Sardegna, che era vuota. Abbiamo lasciato il palco a rappresentanti di operai che parlavano ai propri figli dal palco dicendogli “guardate che papà non c’ha più il lavoro. Insomma, muovetevi anche voi”. È stata veramente un’estate molto emozionante, perché c’è quest’aria di tentare di salvare questo paese. C’è tanta gente meravigliosa ma è dura. È dura perché chi c’ha il potere se lo tiene. Non vedo disponibilità a tornare indietro dalle loro posizioni di privilegiati.
D: I diritti alla vita e al lavoro vengono quotidianamente stuprati. L’ultimo colpo alla democrazia è la modifica all’articolo 8 che fa perdere importanza all’articolo 18 che può essere in questo modo aggirato tramite un accordo aziendale e il licenziamento senza giusta causa diventa legale. Ma questa Italia conosce ancora cos’è la dignità?
R: La dignità certo che c’è, ma la devi andare a trovare nel popolo. Non c’è a livello istituzionale, non c’è a livello politico. È veramente prendere in giro la gente pensando che sia stupida basandosi sul fatto che poi tanto le notizie le danno sempre loro, per cui te le spiegano come vogliono. Io posso improvvisare un finto sindacato, buttar fuori della gente e chiudere questo sindacato. Oppure posso mettere su il sindacato leghista e faccio lavorare soltanto chi mi pare a me. È veramente una presa in giro e soprattutto un piovere sul bagnato, perché si continua a toccare gli stessi interessi da sempre. Ti sembra possibile che la crisi sia dovuta agli operai? Ti sembra possibile che la crisi sia dovuta al fatto che non si può licenziare? Cioè, veramente si vuole trasformare l’Italia in una specie di sud-est asiatico in cui la manodopera costa due lire e i ricavi per i padroni sono giganteschi. È il contrario di tutto quello che tutto un popolo vuole.
D: In “Un Paese Cortigiano” citate Saviano e Benigni. Sono 2 figure piuttosto ambigue e discusse. Saviano a volte si è elevato a vate che segna la via da seguire, dimostrando però ingenuità nelle dichiarazioni rilasciate. Benigni può essere considerato un po’ come il buffone di corte che serve a lasciare il popolo libero di credere che un barlume di libertà è ancora vivo. Per voi sono veramente loro le figure importanti di questo paese? Sono veramente accostabili a Gino Strada e De André?
R: Ti dico due cose: noi li abbiamo elogiati per il tipo di reazione che hanno avuto a questa vita. Io non andrei mai a denunciare dei mafiosi, tanto meno in televisione, né scriverei un libro, perché sono una persona paurosa ed egoista. Per cui quello che lui ha fatto è stato eccezionale. Poi ognuno può avere le sue idee politiche, sociali. Io sono un democratico, le accetto, e sono convinto di crescere attraverso le differenze. In quella canzone lì ci rivolgiamo al tipo di reazione: De André ha reagito in un modo, Gino Strada in un altro, Benigni in un altro. Per me essere in un paese in cui si critica Benigni vuol dire la fine veramente di qualsiasi tipo di intelligenza e chi critica Benigni secondo me è un perfetto idiota perché è una persona che avrebbe tutt’altro da fare che non quella di andarsi a inimicare da Berlusconi in giù. Dà una grande forza ogni volta che parla perché ricorda a tutti che esiste l’amore, esiste la poesia, esiste la risata in quanto portatrice di forze, di energia. Io devo tanto a Benigni come tutto il popolo italiano. Ti ripeto, per me vivere in un paese in cui vengono criticate queste persone è il minimo, è il lato più basso del nostro paese. Soprattutto perché mi sono trovato spesso a rispondere a questa domanda e a volte ho detto all’intervistatore o a chi criticava Saviano «ma te ci andresti a dire “quello è mafioso” e far nomi e cognomi?». «No». E allora stai zitto. Stai zitto e ringrazia. Sai cosa mi infastidisce? È che alcuni me lo domandano perché effettivamente dire “Saviano” oggi vuol dire suscitare una serie di alzate di spalle di persone che sospettano che sia di destra, che sia tutto concordato. Alcuni m’hanno detto addirittura «eh, ma Saviano si fa i soldi con questa cosa». Certo che si fa i soldi. Ha venduto milioni di copie con un libro, cazzarola. Scrivilo te. E poi ‘sti soldi dove cazzo li spende, che vive tutti i giorni in un commissariato diverso? Però è lo sport nazionale, soprattutto a sinistra, sparare su chiunque faccia qualcosa di buono. E a me ‘sta cosa mi fa venire un nervoso gigantesco.
D: La mia critica era rivolta più che altro al suo “dire-non dire”. Nel senso, quando si affrontano tematiche del genere, tematiche complesse, non si può parlare solo di ciò che si vede, ciò che è evidente, ma bisogna anche tenere conto del sistema, di ciò che non è poi così visibile, di come è possibile avvengano determinate cose. Per fare un esempio, non si può non considerare nell’emergenza rifiuti chi è che produce questi rifiuti, da dove arrivano, come arrivano, perché.
R: Lui ha spiegato a chiare lettere lì da Fazio come funziona il mercato-business della spazzatura. Da dove arriva. Arriva dal nord, arriva dalla nostra Toscana, arriva dal Lazio, arriva da ovunque. L’ha spiegato a chiare lettere. E comunque sia io preferisco criticare chi sta zitto, chi ha paura, chi è connivente. Preferisco criticare quella gente lì che non uno che magari anche sbagliando alza la voce e denuncia. Io quelle persone lì le apprezzo, c’hanno coraggio e ce ne fossero in Italia di persone coraggiose. Mi sembra che siamo un bel popolo di cadaveri che votano Berlusconi perché “magari a me mi va bene”. Ma sei veramente ridicolo. Nel senso, stiamo portando l’Italia sul baratro noi, noi elettori, noi popolo.
D: Avete partecipato a numerose campagne di sviluppo sociale. Una delle più recenti è “Sette Per Uno”, un disco registrato insieme a personaggi come Dario Fo, Ascanio Celestini e Giobbe Covatta per la scolarizzazione di una zona nordica dell’Etiopia. Queste attività sono vitali per la Bandabardò? E quali sono i prossimi progetti simili che intraprenderete?
R: Ce n’è uno in particolare che ci sta molto a cuore, che si chiama Wamba, che secondo noi è il progetto più futuristico e più da sviluppare che abbiamo elaborato. È un gruppo di medici che fa capo a un ospedalino che si chiama Wamba, che è nel nord del Kenya, e loro hanno avuto un’idea geniale: tramite un nostro concerto annuale (il primo anno è venuto Bollani, Piero Pelù, il secondo anno i Negrita, Cisco, sempre bella gente) si raccolgono i fondi e questi fondi servono a fare un’assicurazione a una popolazione di 16mila capi-famiglia, che vuol dire qualcosa come 70mila abitanti. Sono assicurati e hanno 3 visite gratis all’anno in questo ospedale. Gli hanno spiegato che l’uomo col camice bianco è un dottore che non ti fa un piacere ricevendoti ma è un suo dovere, per cui è un suo diritto avere 3 visite l’anno. Ogni operazione è garantita pagata dall’assicurazione dello stato keniota. Insomma, credo che in questo modo si sviluppa una possibilità per un ospedale di rendersi forte col proprio lavoro. Loro ricevono soldi per ogni operazione, ogni cura. Soprattutto i malati vengono curati completamente: medicinali, etc. Mi sembra un’idea geniale a cui partecipiamo volentieri. Ora fra un po’ c’è la terza edizione di questo Wamba, a Firenze. Verrà sempre bella gente a suonare, con grande voglia. Vengono anche a parlare. È venuto Giobbe Covatta. Persone meravigliose.
D: Parliamo un po’ di musica: a Maggio avete pubblicato “Scaccianuvole”, il vostro ultimo lavoro. Come vi piace descriverlo?
R: “Scaccianuvole” è un album che racconta quello che sta succedendo in Italia. La nuvolaglia che c’è dal 93 a oggi è una nuvolaglia imposta dal governo che ha tagliato ogni tipo di speranza per tanti giovani, la possibilità di progettare una vita. Li ha trasformati in persone che saranno tutta la vita dei precari, dei numeri quando serve. Quando non serve si rimette il numero nel cartellino e perdi tutto. Non hai la possibilità di prevedere niente, di progettare nulla, e questo credo che sia tagliare le gambe a intere generazioni. Sta diventando un’Italia con una piccola classe che ha troppo e un’enorme classe di gente che non ha niente, non ha abbastanza. E sotto questa nuvolaglia c’è gente che reagisce benissimo, c’è gente che reagisce con la fuga, c’è gente che reagisce disperandosi, c’è gente che reagisce buttandosi sull’amore, sui veri motori che possono ancora farti emozionare, possono ancora farti vivere. Noi raccontiamo tutto questo, con un sottile filo di speranza che è preso da altre culture. Il disco finisce con un elogio della cultura Maya-Zapatista. Loro vivono con 7 punti cardinali, perché oltre ai nostri nord, sud, est e ovest hanno anche il qui, hanno anche il cielo e hanno anche il sogno come direzioni cardinali. Dovremmo aprire un po’ la nostra mente.
D: Il cambio di formazione subìto dal gruppo non ha lasciato indifferenti. Ramon ci aveva conquistati tutti ormai. Nelle sonorità del nuovo disco si nota un cambiamento, anche perché ora si fanno spazio la fisarmonica di Alberto Beccucci e la tromba e flicorno di Rocco Brunori. Come mai questo ennesimo cambiamento?
R: Innanzitutto perché Ramon era un prestito di Daniele Silvestri per un anno e ce lo siamo tenuti otto anni (ride). Per cui era giusto renderglielo. Poi avevano anche voglia di suonare insieme. Noi ne abbiamo approfittato per prenderci un po’ una vacanza dai suoni caraibici che ci garantiva Ramon e andare più sulla Francia, cosa che a me mi ha fatto non puoi immaginare quanto piacere. Sono le mie sonorità. La fisarmonica ha esaltato sia i momenti di malinconia amorosa sia i momenti di danza e di battaglia, perché è uno strumento perfetto per qualsiasi sonorità. E devo dire che ci siamo molto divertiti. Questa ampiezza che adesso ha il nostro sound ci permette veramente di spaziare molto.
D: Come sono stati scelti i vostri nuovi compagni di viaggio, Alberto Beccucci e Rocco Brunori?
R: Estremamente rapidamente. Rocco lo conoscevamo già, perché è un musicista fiorentino molto noto che ha suonato con altri gruppi. Insomma, l’avevo già adocchiato. Era fermo, abitava ad Amsterdam dove stava studiando jazz e l’abbiamo preso con noi più che volentieri. Beccucci ho chiesto in giro chi conoscesse un fisarmonicista, mi hanno risposto in 50 tutti lo stesso nome, ho detto “vabbe’, proviamo”. Ed è veramente molto molto molto bravo.
D: Parlaci dell’incontro con Goran Bregović, che ha partecipato alla registrazione di “Allegro Ma Non Troppo” trasformando il vostro classico “Beppeanna” in un brano “per funerali e matrimoni”.
R: Con Goran c’è stata una collaborazione meravigliosa per le parole che lui ha espresso su di noi. Noi ci siamo solo telefonati. Le magie della tecnologia. Abbiamo fatto tutto per telefono e via recapiti di files. Sentire Bregovic che dice (parla con accento balcanico, ndr) “te, Bandabardò, io Bregovic, stessa festa, stesso funerale, stesso matrimonio” per noi è stata enorme come cosa, perché sentire che lui conoscesse la Banda e così bene da averne assaporato le vere velleità e le vere possibilità ci ha fatto un enorme piacere. Dopodiché è stato tutto uno scambiarsi files e via telefono con questo che mi telefonava e mi diceva (ancora con accento balcanico, ndr) “tu preferisci batteria tum tum cià o tuum tù ciù tu tuum tù cià” e io (ridendo) “maestro, faccia lei, mi piace sicuramente qualsiasi cosa che mi mandi”. È stato veramente fantastico. Tutte le collaborazioni hanno sempre un qualcosa di… ultimamente siamo stati da Dario Fo a fare di tutto. Sono momenti irreali per noi. Siam partiti così ragazzini, 18 anni e mezzo fa, privi di un progetto. Si pensava per due o tre anni di suonare. Poi ci troviamo a casa di Dario Fo, ci troviamo a parlare con Bregovic, ci troviamo invitati da Manu Chao. Sono cose che veramente ci sfuggono a noi per primi. È meraviglioso.
D: Il vostro sogno è un mondo con “meno stress e più farfalle”, a misura di donna e bambino. Sono “sogni grandiosi” o qualcosa può cambiare? Un giorno qualcosa “succederà”?
R: Io credo che sia un cambio obbligatorio, nel senso che il mondo non può continuare così. Peggio di un certo livello non si può andare, si può solo stare meglio. È un po’ forse un gioco di parole sognante ma secondo me è così. Come dicono anche i Maya. La fine nel 2012 vuol dire questo: si va verso un mondo che non si può più basare sul petrolio, sul braccio di ferro fra paesi come America, Russia, Cina. Stiamo andando secondo me verso un mondo in cui non ha più senso la politica mondiale così come l’abbiamo conosciuta. Non può più esistere. Ci sarà un grande rinascimento. Io la vedo così. La vita sarà basata meno sul lavoro e più sulla coabitazione, sulla possibilità di tenere il paese pulito, sull’idea di comunità. Ci sono già tante parti del mondo che vivono in questo modo, in cui non è il fatto di avere un lavoro più o meno prestigioso, più o meno bello, che ti presenta, che ti contraddistingue, ma sono le tue qualità umane. Io credo che questo sia il futuro dell’umanità.
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