Il dialetto cilentano (parte terza). L’elemento Latino
| di Giuseppe ConteL’adattamento del “parlato cilentano”, è fortemente condizionato dalle vicissitudini storiche che si sono avvicendate nel territorio del basso salernitano.
Quando il potere ellenico sul territorio viene meno, cedendo al mondo romano le antiche colonie di Elea e Poseidonia, viene latinizzato l’intero panorama culturale locale, in usi e costumi ma anche a livello toponomastico e linguistico.
Ciò influisce, dapprima nella toponomastica, latinizzando Elea in Velia e Poseidonia in Paestum, e successivamente sul lessico locale.
Credo sia da addebitare a questo periodo (fra l’88 e il 273 a. C., anni in cui l’egemonia greca sul territorio cede posto ai latini), un’incisiva trasformazione della parlata locale, ponendo le basi del primo vero idioma, che sarà poi riconosciuto come Cilentano.
Nonostante l’inevitabile scorrere del tempo, elementi “vivi” provenienti dal latino sono visibili ancora oggi, tanto da scorgerli anche nella vita quotidiana, soprattutto nel parlare delle persone più anziane.
Un caso esemplare, a mio avviso, è rintracciabile nella forma “avo”, dal latino “avus”, dal significato di “antenato” ed in seguito, nel dialetto cilentano, assunto a designare il “nonno”.
La somiglianza fra latino e cilentano (avus-avo) è molto marcata, più della stessa lingua madre (avus-antenato/nonno).
Anche “vaco” da “vacus”-“vuoto”, mostra l’estrema somiglianza sia strutturale che linguistica fra latino e cilentano.
E la lista potrebbe estendersi di molto, ma questi pochi esempi credo possano bastare per rendere l’idea di come incontestabilmente il dialetto cilentano poggia su più antichi calchi linguistici, nell’ambito dei quali il latino riveste il ruolo più importane.
Esempi di latinismi
Latino |
Cilentano |
Italiano |
Apium Avus Trapetum Merula |
Àccio Vàvo Trappìto Mèrula |
Sedano Nonno Frantoio Merlo |
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