I siti archeologici del Cilento. Roccagloriosa: un esempio da seguire… con cautela (parte I)
| di Lucia CarielloNel corso della nostra inchiesta sullo stato dei siti archeologici del Cilento ci siamo imbattuti in scenari di pieno degrado conservativo (Sacco: un sito sconosciuto, Il Parco archeologico “sommerso” di Roscigno: tra dirupi, rovi e sterpaglie qui la natura tragicamente impera).
Non è il caso di Roccagloriosa, anche se lunga è ancora la strada da percorrere.
Roccagloriosa. Un esempio da seguire… con cautela
1.§ Inquadramento geomorfologico
Roccagloriosa è situato a sud della provincia di Salerno ed inserito nel territorio del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano, dal 1998 dichiarato dall’UNESCO patrimonio dell’umanità.
Il borgo è arroccato su uno sperone roccioso (a circa 450 m.s.m.) che domina le vallate dei fiumi Mingardo e Bussento; la sua strategica ed incantevole posizione offre una suggestiva veduta panoramica che consente di spingere lo sguardo dal Monte Cervati al Monte Bulgheria, dal mare di Palinuro al Golfo di Policastro sino alla costa calabro-lucana.
Il toponimo Roccagloriosa è sinonimo di antichità: “Roccae” è dovuto alla sua collocazione strategico-difensiva situata su di un colle, “Gloriosa” alla venerazione alla Gloriosa Madre di Dio o, più verosimilmente, alle sue vicende storiche.
2.§ Storia della ricerca archeologica
Iniziato oltre tre decenni fa, lo scavo archeologico di Roccagloriosa si è gradualmente trasformato da iniziale esplorazione di uno dei tanti siti di altura dell’hinterland cilentano in un interessantissimo caso di studio sul livello di complessità insediativa raggiunto dagli abitati italici in quella cruciale fase di trasformazione culturale e geopolitica verificatasi nel IV sec. a.C.
L’esplorazione dell’area è stata compiuta a varie riprese a partire dal 1976 dalla Soprintendenza archeologica di Salerno Avellino e Benevento ponendo in luce evidenze di notevole interesse per lo studio dell’insediamento.
Un’indagine archeologica che pur essendo nata da una pura esigenza di conoscenza del sito e della sua funzione in ambito intercomunicativo tra area costiera (golfo di Policastro) ed entroterra (Vallo di Diano) si è successivamente concentrata sull’area di necropoli in località La Scala e zone adiacenti.
La ricerca sistematica iniziale ha condotto, così, all’esplorazione della linea di difesa del poderoso muro di fortificazione e ad una indagine topografica del sito arroccato sulle pendici del crinale del Monte Capitenali, posto a controllo delle valli del Mingardo e del Bussento, evidenziando strutture sia interne che esterne al suddetto muro.
La successiva scoperta, poi, di vaste aree di abitato sia all’interno che sui pianori esterni alla fortificazione e, certamente di rilevanza non minore, lo scavo di un’area di necropoli monumentale individuata nel settore sud dell’abitato di altura esterno al muro in eccezionale stato di conservazione, hanno orientato la ricerca in ben altre direzioni.
A partire dal 1982, grazie ad una concessione di scavo del Ministero e con il sostegno finanziario dell’Università dell’Alberta e del Consiglio delle Ricerche del Canada, è stato possibile intraprendere un progetto di esplorazione su larga scala di uno dei principali nuclei di abitato localizzati sul pianoro centrale, all’interno della fortificazione.
Una tale esplorazione sistematica delle aree abitative ha, inoltre, posto fra gli obiettivi primari della ricerca anche l’esplorazione degli altri nuclei abitativi identificati sia mediante ricognizione intensiva di superficie sia attraverso prospezioni geo–archeologiche opportunamente calibrate in relazione alla natura del terreno.
Queste ultime sono state condotte con la collaborazione della Fondazione Lerici “Prospezioni Archeologiche” del Politecnico di Milano, che ha voluto inserire l’esplorazione estensiva dell’abitato pre–romano tra i progetti di interesse scientifico della Fondazione stessa.
La ricerca si è svolta prevalentemente su due dei pianori situati a ridosso della cresta dei Capitenali degradanti verso ovest/sud-ovest, cioè il pianoro di Carpineto e l’ampia area in leggero declivio situata all’interno dell’ingresso principale posto in luce negli anni 1976/77 ed indicato come “porta centrale”.
L’area di Carpineto, già segnalata all’epoca della prima ricognizione nella zona, ha restituito due gruppi di dati di natura diversa atti ad illuminare lo sviluppo della parte settentrionale dell’insediamento.
Interesse ha suscitato una ricognizione con magnetometro a protoni effettuata su un’area pianeggiante posta a ridosso della cavea rocciosa rivelando anomalie riferibili a resti di capanne protostoriche.
La presenza di simili evidenze se da un lato sembra confermare la natura non stabile dell’abitato pre–protostorico dall’altro rende possibile inserire lo sviluppo dell’insediamento in un modello di occupazione limitata alla prima età del ferro con successiva rioccupazione nel corso del IV secolo a.C.
L’esplorazione di un nucleo di strutture presenti sull’ampio declivio ad est di porta centrale, solo marginalmente evidenziate da una trincea di scavo nel 1977, ha messo in luce nuovi dati relativi all’organizzazione dell’insediamento fortificato, confermando ulteriormente la distribuzione sparsa dei nuclei abitativi nell’area all’interno della cinta muraria.
Tale complesso di costruzioni, il più vasto sinora rinvenuto nell’area interna al muro, sembrerebbe riprodurre il tipo di abitazione rurale con ampio cortile lastricato e serie di ambienti di piccole e medie dimensioni.
La pianta di tale complesso nelle sue linee generali presenta varie analogie con l’agglomerato di costruzioni situato sul pianoro meridionale nell’area adiacente la porta sud, esplorato nel 1977.
Tuttavia alcuni elementi della sua costruzione e le dimensioni stesse della porzione lastricata rinvenuta, unitamente ad alcuni dei reperti riferibili a tale gruppo di strutture, sembrerebbero lasciar intravedere per l’insediamento sul pianoro centrale alcuni aspetti di complessità che non è dato riscontrare nell’altro gruppo di strutture all’interno del muro, pur rimanendo ancora incerta la destinazione del complesso.
Lo stato di conservazione delle strutture e la chiara stratificazione dell’area esplorata hanno, poi, consentito di ottenere ulteriori e più precisi dati cronologici in merito all’insediamento fortificato.
Il complesso, infatti, caratterizzato da un ampio basolato, è riferibile ad una seconda fase di costruzione dell’abitato inquadrabile fra la fine del IV e l’inizio del III secolo a.C.
L’abbondante presenza di materiale ceramico a vernice nera riferibile al III secolo è senza dubbio un dato di notevole interesse per l’inquadramento cronologico del sito, un dato che consente di prolungare la parabola di vita sino al secondo quarto del III secolo a.C., in analogia con quanto si verifica in altri centri della Lucania interna ed orientale.
È opportuno tener presente che alcune delle caratteristiche dell’agglomerato delle costruzioni sul pianoro centrale acquistano rilevanza nel momento in cui vengono associate ad altro gruppo di strutture poste a 50 metri più a nord ed alla costruzione di un lungo collettore fognario alla estremità settentrionale generato in un momento finale dello sviluppo dell’abitato, utilizzato dall’insediamento intra moenia.
D’atra parte l’agglomerato di strutture esplorato da M. Napoli nel 1971 sul pianoro NO extra moenia evidenzia caratteri di complessità che escluderebbero la qualifica di semplice fattoria, caratteristica invece assunta dai vari nuclei di abitato documentati sui terrazzi degradanti verso la valle del Mingardo.
È probabile che in tali aree si trovassero i terreni maggiormente utilizzabili per il tipo di agricoltura mista ad allevamento costituente la base economica dell’insediamento.
Si potrebbero pertanto considerare certi elementi di maggior complessità delle strutture situate nelle immediate vicinanze della cinta muraria, rispettivamente all’interno della porta centrale, quali facenti parte di un processo di evoluzione della parte più elevata dell’abitato verso una tipologia più complessa di organizzazione.
Una trasformazione certamente comprensibile sulla base di quanto già si conosce in merito ad altri aspetti della cultura materiale lucana nella seconda metà del IV secolo a.C., anche se è pensabile che possa essere stata semplicemente messa in moto dalla sopravvenuta necessità di difesa dell’area.
Di conseguenza sembra possibile qualificare i vari insediamenti sparsi nel territorio circostante l’area fortificata, costituiti da fattorie con piccole aree di necropoli, quale area di approvvigionamento relativa alla parte più elevata dell’insediamento.
Quest’ultima sarebbe venuta ad assumere una posizione di centralità con l’impianto del massiccio muro di fortificazione, mentre i vari gruppi di fattorie sparse corrispondono ad un tipo di paesaggio agrario già noto per altre aree della Lucania occidentale interna.
Il modello generale di organizzazione territoriale che ne risulterebbe presenta svariate analogie con altre aree di insediamento italico.
È importante tenere presente che gli sviluppi insediamentali si verificano nell’area centrale di un ampio comprensorio costituente il punto di confluenza dei tratturi colleganti l’alta e media valle del Mingardo con i vari terrazzi collinari situati lungo le basse valli del Mingardo e del Bussento.
Il modello di insediamento evidenziato indica il IV secolo a.C. quale periodo di più intensa utilizzazione del territorio di Roccagloriosa, probabilmente in concomitanza con lo sviluppo di un’agricoltura diversificata, organizzata su di un sistema di “mercati regionali” e di una più appropriata utilizzazione delle risorse dell’allevamento.
Parallelamente, la ricognizione sistematica di superficie del territorio che circonda il sito fortificato ha delineato un quadro dettagliato del paesaggio e delle forme di occupazione dell’area in cui si collocava l’abitato di altura.
La ricerca, condotta in maniera continuativa e sistematica e con ripetute verifiche delle strategie di intervento sul terreno e degli obiettivi della ricerca (adattati alla documentazione che l’esplorazione sul terreno andava progressivamente accumulando), ha fornito una serie complementare di dati che (caso più unico che raro per un sito “indigeno”della Magna Grecia) riguardano i diversi aspetti dell’organizzazione della comunità.
Tali dati si integrano utilmente, consentendo di definire con ricchezza di dettagli modi di occupazione, attività economiche, organizzazione sociale ed una embrionale struttura istituzionale.
Ne deriva un quadro coerente di un abitato che, da iniziale insediamento di limitate dimensioni nei decenni finali del V sec. a.C., probabilmente ancora a livello di poche famiglie appartenenti al gruppo gentilizio ristretto che ne manteneva il controllo, si va sviluppando tra il IV e la prima metà del III secolo in un vasto agglomerato con un tipo di strutturazione che include spazi collettivi ed edifici di natura non abitativa che potremmo definire “pubblici”.
CONTINUA
I siti archeologici del Cilento. Roccagloriosa: Un esempio da seguire… con cautela (parte II)
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