Cilento, Gorga di Stio convegno su “La Dieta Mediterranea: da sana alimentazione a patrimonio dell’umanità”
| di Federico MartinoIl 26 e 27 agosto – nell’ambito del X convegno nazionale Ambiente, Alimentazione e Salute – si è discusso a Gorga di Stio, nel cuore verde del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, di “Dieta mediterranea: da sana alimentazione a patrimonio dell’umanità” per sottolineare gli aspetti culturali e le evidenze scientifiche che hanno favorito l’inserimento della Dieta Mediterranea nel patrimonio immateriale dell’UNESCO.
“Il convegno, evento di fine agosto ormai giunto alla decima edizione – spiega il coordinatore nonché fulcro dell’iniziativa, il dottor Mario Infante -, non poteva non celebrare l’evento invitando autorevoli studiosi a dibattere sugli strumenti più idonei a salvaguardare un patrimonio culturale e alimentare che, in tempi di globalizzazione, rischia seriamente di essere disperso. Ne è prova tangibile la sempre maggiore incidenza di patologie cardiovascolari anche nelle zone di origine della dieta mediterranea e la situazione peggiorerà nel futuro, visto che la Campania detiene il triste primato in Europa della più alta incidenza di obesità infantile (15%), che è la causa prima di quella autentica costellazione di fattori di rischio cardiovascolari, meglio nota come sindrome metabolica”.
All’incontro – organizzato dal Centro Studi “Camillo Valio” di Gorga, dall’Ordine dei Medici di Salerno e dall’Associazione Regionale dei Cardiologi Ambulatoriali (ARCA) – hanno partecipato, tra gli altri, i professori Gianfranco Tajana dell’Università di Salerno, Matteo Sofia dell’Ateneo napoletano e numerosi nutrizionisti, endocrinologi, pediatri, cardiologi, pneumologi e medici di base. Ha chiuso i lavori una tavola rotonda moderata dal giornalista Enzo Landolfi e alla quale hanno partecipato, tra gli altri, il prof. Bruno Ravera presidente dell’Ordine dei Medici di Salerno, il prof. Amilcare Troiano presidente del Parco Nazionale del Cilento, il prof. Pasquale Persico ed il sen. Alfonso Andria, che tanto si è speso per ottenere l’ambito riconoscimento dall’UNESCO e per evitare che al Cilento venisse letteralmente “scippato” il ruolo di luogo simbolo italiano della Dieta Mediterranea.
Tale importante riconoscimento ha consentito di accreditare come eccellenza mondiale lo stile di vita mediterraneo. Il termine “dieta” si riferisce, infatti, all’etimo greco “stile di vita”, cioè all’insieme delle pratiche, delle espressioni, delle conoscenze, dei saperi e degli spazi culturali con i quali le popolazioni del Mediterraneo hanno creato nel corso dei secoli intorno al cibo una sintesi tra l’ambiente, l’organizzazione sociale e l’universo mitico e religioso delle loro culture. La Dieta Mediterranea, infatti, rappresenta un insieme di competenze, conoscenze, pratiche e tradizioni che vanno dal paesaggio alla tavola, includendo le colture, la raccolta, la pesca, la conservazione, la trasformazione, la preparazione e, in particolare, il consumo di cibo. La Dieta Mediterranea, sia pure con sensibili differenze tra i vari Paesi, è caratterizzata da un modello nutrizionale rimasto costante nel tempo e costituito, principalmente, da olio di oliva, cereali, legumi, frutta fresca, verdure, una moderata quantità di vino, pesce, latticini e carni bianche.
Un modello che, oltre alla salvaguardia delle biodiversità del territorio e alla definizione di una koinè alimentare mediterranea, garantisce la conservazione e lo sviluppo delle attività tradizionali e dei mestieri collegati alla pesca e all’agricoltura nelle terre bagnate dal mare nostrum dei Romani, come nelle zone di Soria in Spagna, Koroni in Grecia, Chefchaouen in Marocco e Cilento in Italia.
E fu proprio dal Cilento, dove soggiornava, che negli anni Settanta Ancel Keys lanciò alla comunità scientifica mondiale un’importante messaggio per spiegare le ragioni che lo avevano indotto – dopo decenni di ricerca – a considerare lo stile di vita mediterraneo un’arma formidabile per prevenire le malattie metaboliche, cardiovascolari e neoplastiche. Da allora sempre più numerose sono state le evidenze epidemiologiche che hanno confermato la felice intuizione del grande studioso americano e di altri illustri suoi colleghi (Stammler, Karvonen e l’italiano Flaminio Fidanza).
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