“Una Terra Chiamata Cilento”: il viaggio di Giuseppe Conte nelle parole di Paola Nigro
| di Giuseppe GalatoLa presentazione del libro “Una Terra Chiamata Cilento”, di Giuseppe Conte, nelle parole di Paola Nigro:
Nel presentare questo lavoro, non posso non esternare stima e ammirazione nei confronti del caro amico Giuseppe Conte, ex-studente della nostra Università di Salerno, oggi laureato in Lettere e insegnante “in fieri” delle future generazioni di alunni. Fin dai primi giorni della sua collaborazione come “ragazzo del servizio civile” prima, “collaboratore” poi, presso gli uffici tecnici della Biblioteca Centrale dell’Università, Giuseppe mostrò uno spiccato interesse verso la storia locale, esternata in continue richieste di testi e documenti alla sottoscritta, allora bibliotecaria.
La passione e l’amore nei confronti della sua terra, il Cilento, e del suo paese di origine, Ostigliano, sentiti e vissuti con un grande senso di appartenenza a una tradizione ben definita di valori e culture da preservare, emergeva in ogni sua espressione e in ogni suo racconto quotidiano. Ed io lo ascoltavo con grande interesse, figlia di padre piagginese, e cilentana anch’io per metà.
Con il passare degli anni, ho avuto modo di seguire l’”iter” universitario di Giuseppe e di notare in lui, cosa ammirevole per un ragazzo della sua età, una spiccata tendenza alla valorizzazione del “suo Cilento”, sia nella scelta degli esami da inserire nel piano di studio, sia nella scelta della tesi di laurea in dialettologia locale.
Per non parlare delle tante volte che sono stata da lui coinvolta, insieme ai miei amici salernitani, in escursioni montane, in visite guidate nei centri storici dei piccoli paesini di montagna, o in sagre folkloristiche e genuine, come il sapore dei prodotti della terra che ho avuto spesso modo di assaggiare. Sradicare i salernitani per trascinarli in escursioni e sagre cilentane, non è stato semplice, ma la passione di Giuseppe per il Cilento è stata per me e per i miei amici uno stimolo forte a tornare “alle origini”.
In un’epoca di allontanamento dalle radici e di spersonalizzazione totale dell’individuo, constatare in un ragazzo giovane, come Giuseppe, un così forte attaccamento alle radici, m’invita ad una riflessione sicuramente positiva.
E ora veniamo al libro in questione. Cos’ha questo libro di diverso dagli altri che sul Cilento sono stati scritti?
Il libro, partendo da meditazioni personali dell’autore, dalla raccolta di racconti popolari e da accurate ricerche d’archivio, vuole porsi sia come un’indagine storico-etimologica su quelle che sono le origini del toponimo Cilento, che come una ricerca documentata e scientifica su quella che è la localizzazione geografica dell’area che si ascrive attualmente al Cilento. Per far ciò l’autore riporta citazioni tratte da carte d’archivio, con opportuni riferimenti storici e tesi di studiosi che definiscono Cilento, il territorio compreso lungo il bacino dell’Alento.
L’autore non si limita però a mere osservazioni storico-geografiche, ma va ben oltre, ponendo l’attenzione alla questione del dialetto cilentano, dialetto che va salvaguardato dall’”estinzione”, e che viene analizzato nella sua unicità di mosaico di parole e di parlate diverse. Terra cilentana frastagliata e costellata di tanti piccoli paesi, e dialetto cilentano, che a livello linguistico assume sfumature diverse, a seconda dei paesi di derivazione, e che con i dialetti dei vari paesi si mescola fino a fondersi in una struttura non propriamente unitaria. All’interno del testo, il problema linguistico e la frammentarietà del territorio cilentano con le sue enormi distanze, viene affrontato e anticipato in un capitolo che tratta della situazione scolastica dei primi anni ’50, a partire dalla realtà rurale di Pruno, oggi abitata da poche unità che vivono nella semplicità dei tempi passati. La vallata di Pruno, racchiusa tra i monti dell’alto Cilento, ma soprattutto isolata dal resto del territorio, fu un luogo dove l’istruzione elementare venne garantita per mezzo secolo, e questo ci fa capire l’importanza che i cilentani davano e danno all’istruzione, nonostante le enormi difficoltà dovute alla localizzazione impervia e primitiva di alcuni paesi.
L’aspetto particolare che emerge dalla lettura del testo di Giuseppe, è che il testo può essere attraversato come il percorso di un viaggio, un viaggio attraverso la storia, la geografia, il dialetto, l’istruzione, il folklore e leggende popolari del Cilento.
La geniale trovata di riportare le leggende popolari alla fine della narrazione, dopo aver parlato storicamente delle origini e delle teorie sulla posizione geografica, mi sembra davvero una scelta ottimale. Tanto più che le leggende assolvono la funzione di appagare l’animo di colui che ha sete di sapere e rappresentano una strategia di affabulazione anche del lettore che occasionalmente si troverà a passare tra le pagine di questo libro.
Testimonianze scritte e orali sulle figure suggestive e fascinose de“li munacieddi”, tradizione di origine napoletana, riferimenti ai pellegrinaggi nei luoghi di culto mariano, misti a richiami al folklore e alle tradizioni locali, si alternano in un incalzante e suggestiva narrazione, che ha il carattere dell’autenticità.
Il libro si chiude con esplicite note al Cilento dei pellegrini e al culto dei santuari rupestri, che trovano uno splendido esempio nel santuario di San Mauro a Capizzo, appartenente al comune di Magliano Vetere.
L’autore pone anche l’accento al culto dei santi e delle Madonne, ancora vivo e sentito nei paesi cilentani. Con un breve accenno al culto della Madonna del Monte Gelbison, le riflessioni nel testo partono dalla Madonna nera venerata ad Ostigliano, per arrivare alla descrizione della Madonna della Neve, sul Monte Cervati, venerata nei comuni di Sanza e Piaggine, santuario, la cui bellezza capace di affascinare l’anima e lo sguardo, appartiene al vivo ricordo delle estati della mia infanzia.
Ciò che emerge da questo testo, e che l’autore ha sapientemente messo in evidenza, è appunto l’armonia tra l’uomo e l’ambiente che ancora è intatta nel nostro Cilento. Quell’armonia che, nonostante l’uomo sia cambiato e si sia modificato, venendo a patti con il progresso tecnologico e architettonico, nel Cilento appare ancora limpida e vera, e trasuda dai luoghi immobili nel tempo, dalla parlata della gente del posto, dagli odori e dai sapori della terra e dei suoi frutti, dai ritmi della civiltà contadina che rimane, dalla distesa frastagliata del mare e dai paesaggi di montagna che le fanno da contorno. Sotto lo sguardo della torre di Velia e dei templi di Paestum, il florido passato del Cilento sembra emergere attraverso le storie che il nostro autore ci ha raccontato. Ma il Cilento ha ancora tante storie da scoprire, ed io auguro a Giuseppe di averne ancora tante da raccontare.
Dott. ssa Paola Nigro
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