Se Napoli piange, il Cilento non ride
| di Paolo AbbateMalgrado le generiche affermazioni dei vari consorzi e associazioni per garantire il turismo nel Cilento, si assiste da tempo ad un fenomeno che tutto è meno che “favorire un turismo che sia sotto tutti gli aspetti realmente sostenibile”: cioè i cumuli di rifiuti proprio all’ingresso dei lidi e dei camping che dovrebbero ospitare il tanto agognato turismo.
Eppure non si tralascia occasione di ricordare a tutti, a ragione direi, che nel territorio cilentano l’unica fonte di reddito ed occupazione è senza alcun dubbio il Turismo, caratterizzato da una domanda principalmente di tipo balneare ed alimentato dalle notevoli risorse paesaggistico-ambientali possedute. Perseguire quindi un “ Turismo Sostenibile, inteso nella letteratura tecnica come un sistema di attività turistiche che rispetta e preserva a lungo termine le risorse naturali, culturali e sociali, ma che contribuisce in modo positivo ed equo allo sviluppo economico e al benessere degli individui che vivono e lavorano nei luoghi di destinazione”.
Credo sia utile ricordare che il concetto di sostenibilità, applicato allo sviluppo, al turismo, ecc, fu avanzato alla Conferenza internazionale di Rio de Janeiro nel 1992 nel tentativo di conciliare il benessere umano e la sua crescita economica con la tutela della natura. Penso che questo concetto sia un’illusione, una contraddizione in termini (un ossimoro come suole dirsi), e studi di esperti e i fatti lo dimostrano.
Più cresce, infatti, la domanda di benessere ed il numero degli esseri umani, la popolazione, e più cresce il consumo di risorse che la natura ci offre ma che non sono inesauribili. E contemporaneamente crescono i rifiuti che spalmiamo nell’ambiente.
Ebbene, l’aumento della popolazione balneare produce inevitabilmente, se non si pone il rimedio di un diverso stile di vita, l’aumento esponenziale dei rifiuti prodotti. Se a questo si somma l’evidente inciviltà dei turisti in generale e l’esaurimento di siti dove stivare i rifiuti prodotti, si produce l’emergenza (e l’indecenza) dell’impatto sulle risorse paesaggistiche ed ambientali possedute.
Cambiare necessariamente stile di vita, dunque, che abbia come obiettivo, ormai irrinunciabile, una “decrescita” dei consumi, molto spesso inutili, futili.
Quanta plastica, carta, vetro, polistirolo, cibo, imballaggi vari usiamo o ci propinano, col nostro consenso e soddisfazione, che finiscono gettati nelle strade, nelle discariche, nei fiumi, nel mare, cioè nell’ambiente.
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