Il padre della decrescita felice Latouche incantato dal Cilento
| di Luigi MartinoIl racconto del giornalista del Sole 24 Ore, Roberto Napoletano, catapulta i lettori da un angolo all’altro dell’Europa per poi afferrare la lente di ingrandimento e concentrarsi sulla Campania per guardare più da vicino il Cilento e l’Irpinia. Non con i suoi occhi, ma con quelli di Serge Latouche, il filosofo della decrescita felice. Serge Latouche, 75 anni, è un economista e filosofo francese. È uno degli animatori della Revue du Mauss, presidente dell’associazione «La ligne d’horizon», è professore emerito di Scienze economiche all’Università di Parigi XI e all’Institut d’études du developpement économique et social di Parigi. E’ uno di quelli che ti raccontano la vita con una semplicità disarmante e che in un brevissimo testo riescono ad iniettarti chilometri di esperienze.
L’articolo di Roberto Napoletano sul Sole 24 Ore:
Può capitare di essere a cena a Villa d’Este, a Cernobbio, e di ritrovarti intorno allo stesso tavolo con un signore che mostra un portafoglio in pelle di bufalo comprato a Capaccio Scalo a due passi da Paestum, nel Cilento, e muore dalla voglia di farti vedere una fotografia di lui con il “signor Vannulo” davanti a un computer che misura la quantità di latte che esce dalle mammelle delle bufale della sua tenuta.
Puoi sentirlo ripetere a voce bassa, un intercalare francese ma scandendo bene le parole in italiano, che «bello Capaccio Scalo, Paestum, San Marco di Castellabate, questo è un Paese caotico, ma dove si vive bene, dove ci sono oasi come il Cilento, e io in Europa preferirei cento volte di più vivere in Italia che non in Germania». Chiedo: «chi è?» e mi ritrovo sotto gli sguardi esterrefatti di Alessandra Galloni e di Marco Fortis, commensali allo stesso tavolo, che mi dicono all’unisono: «Ma come, non lo riconosci? È Serge Latouche, il filosofo della decrescita felice». L’uomo, capelli, barba e baffi brizzolati, non li molla: «Decrescita serena, per cortesia, la felicità è una cosa che dipende dalla personalità dei singoli, è qualcosa che si avverte nella società ma riflette una dimensione umana, la serenità è il minimo di sostenibilità a condizioni oggettive, è qualcosa che genera un minimo di benessere per tutti».
Marco Fortis si sente colpito nel vivo e mi butta lì in un orecchio: «Te lo traduco per casa nostra, crescono solo quelli che esportano, gli altri tornano nelle campagne, e cercano qui la qualità della vita, quello che ci è rimasto senza domanda interna, se ci pensi bene è ciò che è accaduto negli ultimi quattro-cinque anni. Questa è la nostra decrescita serena». Latouche ci prende gusto e insiste: «Sono tutti capaci di misurare tutto in economia, ma nessuno è in grado di misurare la felicità, che cosa vuole che ne capisca uno sciagurato come Sarkozy, lui e la Merkel sanno solo fare i conti, calcolano le misure economiche. Si occupassero di garantire un po’ di serenità, e poi non capisco perché gli economisti misurano tutto e non sono capaci di misurare ciò che conta di più».
Non mi trattengo: «Se vuole le mando la classifica della qualità della vita del Sole 24Ore, sono venticinque anni che calcoliamo qual è la città dove si vive meglio, all’inizio i cattedratici storcevano il naso ma poi si sono ritrovati subissati di tesi di laurea che attingono a piene mani a quella classifica e nessuno contesta quei dati». Fortis mi fa un cenno complice, guarda fisso negli occhi Latouche, e dice: «Gli economisti non hanno cultura umanistica, questo ha cultura». Un’altra voce del tavolo chiosa: «Interrogalo su Leopardi». Non ho voglia e faccio un’altra domanda: «Posso chiederle dove vive?». La risposta è pronta: «Vivo in tre posti, il primo è Parigi, il secondo è l’Italia tutta itinerante dall’Alto Adige a Lampedusa, poi i Pirenei del Sud, dal lato della Catalogna, dove scrivo i miei libri. Quando sono a Parigi ogni domenica faccio visita al Louvre».
Per essere il teorico della decrescita, ancorché serena e non felice, quello che sostiene che esistono le basi sociali e politiche non economiche, di certo non si può dire che non si tratti bene. Segue un suo ragionamento, e prosegue: «Ho trascorso una settimana a Sant’Angelo dei Lombardi, in Irpinia, ho conosciuto una sindachessa splendida, ambiente bellissimo, strade pulite, un’integrazione perfetta con una comunità numerosa di immigrati, questa per me è l’Italia». Dopo il Cilento, l’Irpinia, e capisco che sto capitolando. Troppo aristocratico per i miei gusti, questo Latouche, ma di certo simpatico, e poi è riuscito nel giro di una ventina di minuti a toccare due corde personali, mi ha fatto tornare con il cuore tra Giungatelle, Ogliastro Marina e Punta Licosa, natura viva e stagioni estive intense con la mia famiglia negli anni del liceo e anche dopo, e mi ha fatto scattare nella testa il ricordo di un’Irpinia che ho conosciuto, le sue strade pulite e le sue villette, la forza di un popolo che è fatta di sostanza e di intelligenza contadina, mai di forma. Che cosa buffa: parla della decrescita serena e si mangia tutti i pasticcini, anche quelli degli altri, appartiene all’aristocrazia francese della filosofia e tesse le lodi delle mozzarelle di bufala di Capaccio Scalo e della comunità di Sant’Angelo dei Lombardi. Non avrei mai creduto che a parlare così del mio Sud di dentro potesse essere un uomo apparentemente tanto distante, sulla decrescita ovviamente non mi ha convinto, sulla bellezza del Cilento e sull’intelligenza contadina dell’Irpinia mi ha reso felice.
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