Vietato ai minori… Espressioni e termini del passato
| di Orazio RuoccoAnche se non necessario, ritengo comunque opportuno sgombrare il campo da qualsiasi equivoco: nessun intento volgare o abbandono al turpiloquio nel presente articolo ma soltanto un breve ed estemporaneo viaggio, mi auguro ironico e divertente, nella nostra cultura marinara che, quantunque modesta e spicciola, resta pur sempre la nostra cultura.
E sì! Perché nella cultura di un popolo entrano pure i pittoreschi modi di dire, le locuzioni verbali, le espressioni tipiche che lo rendono unico. Sono espressioni ormai in abbandono o in disuso e ai più giovani per lo più ignote.
Le nostre vecchie generazioni, ormai andate, erano dedite soprattutto al lavoro, alla famiglia e alla preghiera. Ma per quanto miti e buone, anche loro qualche volta si adiravano e sfociavano col linguaggio nella trivialità. E’ inutile nascondercelo: gli organi genitali maschili e femminili la facevano da padrone. La più comune, usata, abusata e svalutata offesa era “a fessa i mammeta”. La proferivano indistintamente uomini e donne, grandi e bambini, analfabeti e non , sindaco ed assessori. Solo il Parroco no, almeno non in pubblico. Naturalmente c’erano le varianti “chella i soreta e chella i ziata”, ma suonavano più di rimando alla iniziale provocazione della mamma. Insomma “quella ” della mamma era la più gettonata. Sin da ragazzo mi son sempre chiesto perché ne sono andate immuni “quella” delle mogli o delle fidanzate. Forse non suonavano bene? O forse non ferivano adeguatamente?
Più ampio, variegato e fantasioso è l’impiego dell’organo genitale maschile: non nascondo il mio imbarazzo nel trovare un punto di partenza. E’ indubbio che col termine si punta diritto a stigmatizzare un difetto. E’ il caso di “cazzimbocchio”. Preme dire subito che con questa locuzione si soleva indicare un cubetto di porfido per lastricare le strade. Nel nostro dialetto però è un’altra cosa. Se venivi , e vieni tuttora, additato con questo apiteto è un vero affronto, non tanto per il riferimento all’organo virile, ma per l’idea che intende darne. Insomma è come dire: “sei grande, grosso, ma inoffensivo, inutile, inservibile, superfluo”.
Molto spesso sentivamo dire anche: “Ma chi, u marito? Chillo è nu cazzone!”. Il termine è molto affine al cazzimbocchio. Se volessimo stabilire una relazione di parentela fra i due potremmo dire che sono cugini. Con cazzone infatti si intendeva un soggetto comunque grosso, ma passivo, inerte, indolente, e anche un po’ sfaticato. L’esatto contrario del “Cazzinculo”, persona dalla quale bisognava ben guardarsi, da tenere alla larga. Perché? Molto semplice. Nell’immaginario collettivo l’appellativo composto indicava un individuo che abitualmente cercava il proprio tornaconto a scapito di qualcun altro. L’idea che ci dà il termine non è quindi riferita al gran furbone ma al malcapitato di cui il “cazzinculo” abusava e al quale veniva propinata una colossale fregatura.
Più grazioso è il diminutivo “cazzillo”, nome col quale si indicava un bambino ancora piccolo ed in quanto tale inoffensivo ed innocuo. Il termine è stato esteso anche ad un pesciolino dalla bella livrea colorata, ” u cazzillo i’ rè”, ma dalla carne inconsistente e insapore. E’ evidente l’accostamento: il bambino ancora senza carattere e personalità e il pesce insignificante dal punto di vista culinario.
Ma la traslazione del termine più aerea e inspiegabile è avvenuta con un detto. Pensate. “Prendere fischi per fiaschi” è diventato.” Piglià cazzi pe’ sische”.Mah…
E non finisce qui. Anche un’altra parte del corpo, meno nobile dei genitali, è stata utilizzata per manifestare dispregio, antipatia, avversione per una persona: il sedere e specificamente quello femminile. Solitamente erano le donne che nei loro conciliaboli si servivano di certe espressioni per citare qualcuna che non era certo loro simpatica. Non era infrequente sentire: “Chella culo a tremoia”. Ora per capire esattamente cosa volessero veramente dire è necessaria una breve digressione. La “tremoia” non è altro che una tramoggia, cioè un grosso contenitore rotondo. largo sopra e stretto sotto. Per darvi un’idea: il contenitore dei frantoi dove venivano schiacciate le olive per fare l’olio è una tramoggia. E quindi verosimilmente un “culo a tremoia” era così strutturato: grasso, grosso e largo sopra i fianchi tendente leggermente a restringersi sulle cosce. Uno spettacolo non certo bello a vedersi…
Abbiamo raggiunto il massimo? Non credo. Perché nella scala dei valori delle brutture penso ci sia di peggio. Mi riecheggiano ancora nelle orecchie frasi del tipo: ” Se n’è vvenuta chella culo smatratato…” Ora con tutto il rispetto per “il culo a tremoia”, ma quello “smatrato” lo supera in tutte le accezioni. Volendo darne una definizione dobbiamo pensare ad un sedere smisurato, trasbordante da ogni latitudine, incontenibile, incommensurabile. Insomma qualcosa di veramente orripilante e asfissiante. Penso che con questo ci potremmo fermare. Abbiamo toccato il fondo!
E gli uomini? Tranquilli… facevano la loro parte. La loro attenzione era fissata sul novello sposo di turno. Dopo due o tre mesi dal matrimonio cominciavano a malignare se non spuntava la “pancetta” alla dolce mogliettina. I coniugati con prole, dall’alto della loro manifesta virilità, certificata dalla presenza di uno o più figli, con aria tronfia cominciavano a bisbigliare: “Ma nun è ca chillo è nu gallo-patana?”. L’espressione pittoresca è di per sé eloquente. Era carico dell’interessato smentirla il più presto possibile. A felice evento avvenuto, il malcapitato sposino e l’intera famiglia, con l’aiuto delle “comari”, gli sms di allora, provvedevano a diffondere il più velocemente possibile la notizia dell’arrivo di un bebè.
Ma dopo tante sconcezze, voglio però concludere con qualcosa di grazioso. Oltre al fin troppo noto e decantato “culo a mandolino”, c’era una bella definizione che ho sentito la prima volta da mia nonna mentre parlava di una ragazza “accunciatella e bellella” : “u culo a prunella”. Ora per farcene un’idea dobbiamo considerare la prugna osservandola come se stesse in piedi, col picciolo in alto, non stesa altrimenti il sedere sarebbe obbrobrioso. Detto questo immaginate facilmente cosa volesse dire mia nonna…
Naturalmente questa breve carrellata di modi di dire non è esaustiva. Ce ne sono altri che ampliano il campionario e con i quali potremmo scrivere altre due paginette. Ma me ne astengo per evitare che qualcuno di voi se ne rammenti almeno uno da affibbiarmi per la prolissità di questo scritto…
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