Questione meridionale, se ne parla nelle scuole
| di Francesco ChiricoIl sud è davvero la palla al piede della penisola? È sempre stato così? Ci sono ancora speranze? Questione meridionale, sud, identità. Questi i temi e le domande portanti del ciclo di incontri che vede per protagonisti i ragazzi delle classi quinte del liceo Parmenide di Vallo della Lucania. Si tratta di una serie di tre incontri organizzati da monsignore Giuseppe Casale in collaborazione con la scuola, il primo dei quali si è tenuto questa mattina, sabato 19 febbraio, presso l’auditorium del seminario diocesano. L’introduzione del preside Francesco Massanova ha subito lasciato spazio agli ospiti della giornata. «Si chiamano briganti perché hanno perso altrimenti li avremmo chiamati partigiani» spiega Nicola Mondelli, ex studente del Parmenide laureato in giurisprudenza ed appassionato di storia, inizia facendo un rapido excursus storico sulla storia del sud Italia. «Il ritardo che abbiamo accumulato, siamo diventati una palla al piede perché hanno voluto farci diventare così, oltre al danno ci sarebbe anche la beffa di rompere l’unità – conclude il suo intervento Mondelli -. Noi meridionali dobbiamo riscoprire l’orgoglio delle nostre radici, della nostra storia, della nostra cultura comune, come popolo. Patria è il posto dove ognuno vuole vivere senza infliggere nessun tipo di umiliazione, purtroppo per noi meridionali da 155 anni a questa parte non è stato questo ma il compito delle nuove generazioni, che devono contribuire alla costruzione della patria europea, è proprio quello di sentirsi meglio in casa propria».
Del fenomeno complesso e spesso poco studiato del brigantaggio parla invece lo studioso Lodovico Calza che ha definito i briganti come «Uomini che preferivano morire in piedi e non in ginocchio». Era guerra civile dopo l’unità al sud, il regno aveva emanato anche «Licenza per uccidere i meridionali». La miseria in cui era stato lasciato il regno delle due Sicilie non aveva di certo migliorato la situazione. Ma chi erano i briganti? Di questo ha parlato invece don Luigi Rossi, docente universitario. Secondo Rossi bisogna distinguere fra i patrioti che credevano nella rivoluzione e i banditi che speravano invece in una amnistia.
Ma dov’è ora quel sud unito dal 1130? Il sud dei primati, uno degli stati più ricchi d’Europa? Oggi non esiste più. I giovani scappano da quella stessa miseria e arretratezza per cui i briganti combattevano. La verità, ed è emerso anche nel corso della mattinata, è che l’unità d’Italia è stata una conquista del regno di Piemonte. Fa quasi sorridere sapere che il Cilento del 1800 era considerato «Arretrato senza strade e ponti». Un ciclo di appuntamenti che è un’opportunità per tutti coloro che amano questa terra e non vogliono vederla morire.
Foto: Armando Negri
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