Aspettando Voci dal Sud: intervista a Zampanò Forti
| di Giuseppe Galato“Un uomo, un perché”, potremmo titolare questa intervista.
Si, perché Zampanò Forti è un personaggio, una marionetta, una maschera che fa della sua musica (e dei suoi spettacoli) uno stile di vita. Vita vissuta, come il suo progetto musicale registrato dal vivo “per caso”, per strada.
Dopo aver (stra)vinto al PMC Music Contest di Vallo della Lucania, Zampanò Forti ora si appresta a calcare il palco di Voci dal Sud il 30 luglio insieme ai 24 Grana.
Ma chiediamo meglio a lui chi è, cosa fa e perché lo fa.
D: Chi è Zampanò Forti?
R: Oggi è figlio di Nicola e Diletta che l’hanno voluto crescere musicista. Farebbe di tutto pur di non suonare, pur di saltare un concerto. Ciononostante è ubbidiente e suona a comando. Di solito basta un cenno. È il mio progetto di musica d’autore. È la mia faccia buona a prendere schiaffi.
D: Da dove nasce il nome “Zampanò Forti”?
R: Un giorno che ero più piccolo a pranzo, a tavola papà mi suggerì: «Che ti volevo dire? M’è venuto il nome per il gruppo: Zampanò. Vediti “La Strada”, è un bel personaggio». Ho trovato questo nome ubriaco, su una spiaggia che piangeva la morte di Gelsomina. Gli ho dato un cognome quando diventò personaggio e sali per la prima volta, solo, su un palco. Fu uno spettacolo lungo, gestito male e nojoso. Adesso mi porto addosso un nome per il sangue, Paolo Montella (abbastanza brutto) e uno pseudonimo per il vino (particolarmente brutto) Zampanò Forti.
D: Sei stato il vincitore indiscusso (ben 22 punti sopra i secondi classificati) al PMC Music Contest di Vallo della Lucania: ti aspettavi un tale successo?
R: No no. Non me l’aspettavo (non posso certo dire «Si, me l’aspettavo. Sono fortissimo!»). Però ne avevo bisogno. Non me l’aspettavo anche dato il livello degli altri musicisti. Gli Hot Fetish Divas, con i quali ho condiviso il palco della prima sera, mi hanno entusiasmato. Giuseppe Di Taranto è un amico e gli voglio bene per cui sarò di parte ma mi entusiasma sempre. I Glitterball e i Lenula, li ho ascoltati on-line e si dimostrato gruppi ricercati, da ascoltare, seguire ed apprezzare. Diversamente Rossi un altro cantautore da cui poter rubare tanto. Insomma, posto che il livello medio della manifestazione è stato alto, sono ancora più sorpreso e contento di aver ottenuto questo risultato.
D: Fai cantautorato ma non sei vicino a nessun cantautore che mi venga in mente; la tua proposta è al contempo “sperimentale” ma non risulta eccessivamente complessa all’ascolto come può accadere in altri progetti simili: quali sono le tue influenze musicali? A chi si ispira Zampanò Forti?
R: Non lo so, prendo tutto quello che c’è da prendere. Soprattutto dal cibo prima che dalla musica. Anni fa credevo che la composizione fosse un atto creativo a partire dal nulla, quasi divino. Evidentemente non avevo mai sofferto la fame.
D: Quando e come hai iniziato a suonare e poi a comporre?
R: Una storia abbastanza comune, classica e nojosa, di adolescenti con la chitarra. Un aneddoto che raccontavo giusto jeri: uno dei tanti giorni dei miei 12 o 13 anni giravo per strada con gli amici di allora. Passammo per caso davanti la vetrina di “Quaglia” (nel bene o nel male storico negozio di musica di Napoli) e rimasi pietrificato alla vista del prezzo di una chitarra bellissima. 120 mila lire per una chitarra elettrica. Una nobilissima Roytek su stampo di una Stratocaster:
– «Marò, ma non è molto! Ie pensavo chissà quanto. Voglio suonare la chitarra elettrica. Compriamoci uno strumento a testa e sunammo»
– «Se vabbè! È tardi. Siamo grandi oramai. Queste so cose ca s’imparano da piccerilli!»
– «… tieni ragione. Che peccato però»
e rinunciai alla vita d’artista.
D: Al Pmc Music Contest ti sei fatto notare grazie a un live tanto scarno quanto intenso. Oltre alla tenuta di palco da manuale (e oltre) mi hanno colpito in particolar modo gli arrangiamenti sulla chitarra: come nascono i tuoi brani?
R: Mi concentro. Mi torturo. Mi ossessiono. Scrivo 200 stronzate e mi libero di tutte le cose inutili che ho da dire in note e in parole: questa è la fase più lunga e oscena. Sporca, oscena. Porca. Dopodiché mi sforzo per tornare a vivere. Mangiare e cacare. Lì nasce una canzone.
D: Il tuo è un progetto peculiare: registrare per strada con ospiti di volta in volta diversi e con strumenti inconsoni. Ora che hai vinto una registrazione in studio pensi cambierai approccio?
R: Sicuramente. È una questione di esigenze. L’anno scorso avevo bisogno di tornare a sentire il profumo della pelle delle belle donne, contatto fisico con maschi e femmine, e non avevo soldi. Ho racimolato quel che potevo e con 80 euro sudati ho comprato un microfono portatile a batterie. Con quello ho registrato tutto un album. Per strada e con chi capitava, prediligendo le amicizie. Ho già il sapore del nuovo approccio, dello studio. Già qualcosa in mente. Sarà saporito. Almeno me lo auguro.
D: Al PMC Music Contest hai suonato da solo, tu e una chitarra, e a volte anche meno (chitarra e “cassa toracica”): sarà lo stesso a Voci dal Sud o sarai accompagnato da qualcuno?
R: Scompagnato. Solo. Solissimo. Abbandonato. Triste. Al limite col patetico. Sarà un concerto con le lacrime agli occhi.
D: Tuoi progetti attuali e futuri?
R: Al momento sono impegnato con un collettivo di musicisti e cantautori nella registrazione di un album fatto di collaborazioni e cooperazione. Siamo a buon punto. Con questi stessi ragazzi vorremmo, ad estate conclusa e calata l’afa con i primi venti freschi, fondare un’etichetta indipendente. Ad ottobre spero di cominciare le registrazioni di nuove canzoni, magari sfruttando proprio il premio del PMC contest. Poi non so… al momento ho l’esigenza di confrontarmi con altre realtà indipendenti italiane, con altri musicisti e progetti. Nei contenuti e nei fatti la musica indipendente italiana sembra essere pronta al cambiamento, già da tempo in atto, dei sistemi di produzione, diffusione e ascolto della musica. A parole invece (quelle scritte come quelle dette) non è così. Sembra un paradosso: la musica italiana parla e scrive col mainstream ma si muove, agisce, fa “i fatti” tramite l’indipendete. La musica è un bene comune. Tutto lo dimostra oramai. In breve, voglio toccare con mano, testare le possibilità reali del cambiamento. Analizzarne i meccanismi. Ho un bisogno fisico di immergermi nei fatti!
©
©Riproduzione riservata