“Luntano fore more ‘a libertà”: intervista ai 24 Grana
| di Franco GalatoSono una delle band più importanti all’interno del panorama musicale italiano.
Dal 1997, anno di uscita di “Loop”, i 24 Grana hanno lasciato una traccia indelebile stravolgendo lo stilema dub con l’incursione in territori rock di “Metaversus”, verso lidi elettronici con “K-Album” fino al cantautorato di “Ghostwriters” e “La Stessa Barca” passando per il pop-rock eclettico di “Underpop”.
Con soli 6 album i 24 Grana hanno scritto più pezzi di storia sapendosi sempre rinnovare, senza paura, affrontando di volta in volta discorsi differenti in nome della sperimentazione.
Parlare dell’importanza dei loro lavori in così poco spazio sarebbe riduttivo, data l’enorme quantità di idee inedite scaturite dalla mente dei 4 ragazzi di Napoli, idee che hanno di fatto rivoluzionato l’approccio alla composizione in un determinato genere musicale come il dub. E oltre.
In occasione della loro data a Voci dal Sud il 30 luglio abbiamo scambiato qualche chiacchiera con Francesco Di Bella, frontman della band partenopea.
D: La sperimentazione è stata sempre caratteristica fissa del vostro percorso musicale. Di album in album avete esplorato più generi dando sempre una grande personalità ai vostri lavori. Qual è la vostra idea di musica?
R: È l’idea di voler raccontare attraverso i suoni, gli ambienti le parole, lo stato d’animo di una generazione che attraversa un’epoca e ne vive/subisce i cambiamenti. Osservazione poetica dell’evoluzione, documento romantico.
D: Da “Ghostwriters” a “La Stessa Barca” invece non c’è stato un cambio di rotta netto come successo negli anni passati: come mai i vostri ultimi due album sono molto più simili tra loro rispetto ai vostri ordinari e repentini cambi di rotta?
R: I cambi di rotta non devono essere necessariamente repentini, spesso sono soltanto cambi di umore o nuove avventurose sperimentazioni. La composizione è un viaggio che spesso ti allontana fin dove ti porta la curiosità.
D: Quando ho saputo della vostra collaborazione con Steve Albini, prima dell’uscita de “La Stessa Barca”, immaginavo un album molto più duro nei suoni rispetto a quello che poi abbiamo potuto ascoltare: come mai la scelta di rivolgersi a Steve Albini per un album comunque dai toni soft?
R: Avevamo scelto di registrare il disco in presa diretta e volevamo che ai controlli ci fosse un super engineer. Steve ha un’esperienza in questo senso come pochi al mondo.
D: Com’è stato lavorare con lui?
R: Eccezionale.
D: Avete nuovi brani pronti? Se si, c’è stato un cambio di rotta o siete ancora legati ai toni più cantautoriali degli ultimi due album?
R: Non abbiamo ancora niente in cantiere.
D: Cosa state facendo attualmente e quali sono i vostri progetti futuri?
R: Saremo in tour almeno ancora per tutto l’inverno, poi si vedrà.
D: Tornerete a suonare per il pubblico del Cilento e Vallo di Diano a Voci dal Sud. Dal vivo avete abbandonato molti brani storici come “Pikkola Kanzone Per K” o “Kanzone Anarkika” fino a “Nun Me Movo Mai” concentrandovi su una proposta più vicina al cantautorato degli ultimi due lavori proponendo dei live molto più soft rispetto al passato: come mai questa scelta?
R: Abbiamo usato spesso toni più riflessivi, nei concerti come nei dischi, alternandoli a momenti di vero e proprio furore. È il nostro modo di comunicare passione, dolcezza e rabbia, i nostri colori primari.
D: Quando si parla della scena musicale italiana si continuano a nominare da 20 anni sempre gli stessi nomi che continuano a riciclare le solite idee o, al massimo, fenomeni più recenti che si atteggiano da star e da grandi artisti. Voi, pur avendo avuto vari riconoscimenti e aver girato tutta Italia (e oltre), senza contare il fatto che i vostri album sono oggettivamente dei veri e propri capolavori compositivi al di sopra di molte altre produzioni osannate da stampa e pubblico più del dovuto, e senza contare che vi siete sempre messi in gioco osando proporre di volta in volta stili diversi, ancora venite in un certo senso ignorati: riuscite a spiegarvi il perché di questo?
R: Credo che negli anni abbiamo raccolto l’esperienza, la consapevolezza e l’ispirazione per realizzare i nostri lavori e suonare in tour. Tutto questo è un grande tesoro e dobbiamo ringraziare chi da sempre crede in noi e ci segue. Il resto sono scelte del music business.
D: Può essere per il fatto che usate il dialetto come forma espressiva?
R: Sicuramente per ascoltare i 24 Grana ci vuole un po’ di attenzione. Ma quanti ragazzi in Italia capiscono perfettamente il senso di un testo in inglese? E che dire dei Sigur Rós o dei bluesman africani tipo Ali Farka Touré?
D: Lo scarso utilizzo di termini dialettali poco accessibili al pubblico non campano può definirsi un’apertura a chi non coglie il napoletano, quindi ad una più vasta fascia di pubblico?
R: Una buona dose di italianizzazione è sempre stata presente nei testi. È un modo di raccontare il popolo campano.
D: Un vostro tema ricorrente sono le ingiustizie perpetrate in nome della legge e dalla legge stessa, tema che, pare, non smetterà mai d’essere attuale nel Bel Paese. Con le vostre canzoni cercate di risvegliare le coscienze di chi non si rende conto che la legge è ormai diventato un oggetto in possesso dei più forti che continuano a farne uso ed abuso?
R: Ci piace raccontare storie che avvengono nella penombra, dove appunto la legge non è uguale per tutti e non tutti hanno gli stessi privilegi, per svelare un paese ancora colpevolmente passivo in merito a diritti e uguaglianza.
D: Dopo le vittorie di Pisapia e De Magistris, in particolare, molti gridano al cambiamento: voi che idea vi siete fatti sulla questione? Ci sarà davvero un cambiamento?
R: I cambiamenti avvengono pian piano e con il contributo della società. Si può andare meglio quando c’è gente intenzionata a lavorare in questo senso.
D: Sono ormai 15 e più anni che suonate: cos’è cambiato nella musica italiana e, in generale, nella cultura (dall’arte alla televisione alla politica, ecc…) in Italia?
R: Si vivono anni di “finto alternativo”. Rispetto ai ’90 questi sembrano gli ’80, quelli della kultura centrifugata, dei cuori di plastica e delle one-hit wonder.
D: Vuoi aggiungere qualcosa?
R: Grazie mille per i complimenti!
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