Quale politica per i parchi italiani
| di Domenico NicolettiDomenico Nicoletti, docente di Gestione e salvaguardia delle aree protette presso l’università di Salerno, scrive in merito quale politica per i parchi nazionali. In parlamento si sta discutendo per la modifica alla legge 394/91 sulle aree protette italiane, discussione quanto mai attuale per il parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano dove si sta affrontando la questione della gestione rifiuti e dell’opportunità o meno di costruire una discarica o un Polo ecologico in aree contigue.
E’ evidente che lo scontro in atto nel mondo ambientalista per le modifiche alla legge 394/91 in discussione al Senato, sono e restano in quell’ambito e la politica politicante, segue a ruota.
La crisi dei parchi italiani è tutta nell’aver voluto in maniera maniacale e monotematica da parte di federparchi e del mondo ambientalista, gratificato e autorefenziato per anni il mondo dei parchi che in Italia ha rappresentato una vittoria del mondo ambientalista e di certa politica di destra e sinistra, senza diventare, come si sperava, una conquista sociale e di civiltà.
Spesso le comunità dei parchi non hanno funzionato, spesso le politiche della partecipazione e della consapevolezza sono state un’optional o una illusoria condivisione, troppo spesso e oggi più che mai, i parchi sono delle torri di avorio dal quale emerge un reggente che indica, detta e promulga ostacoli ed impedimenti ai cittadini dei parchi e al territorio senza capire l’evoluzione la crescita culturale e ambientale delle dinamiche nazionali ed europee (dalla Strategia Nazionale della Biodiversità, alla Convenzione Europea del Paesaggio).
I parchi oggi devono assumere nuovi ruoli e funzioni attraverso un dibattito aperto concreto ed allargato non solo nel mondo ambientalista, ma allargato alla società civile che ne intravvede il modello di sperimentazione attinente ai grandi paradigmi del nostro tempo (dalla qualità della vita, al ben-essere, alla bellezza) ma non ne riconosce le capacità di azione.
I parchi oggi devono diventare strumento, che in base alle vocazioni dei territori, sperimentano modelli di economie diffuse e generative, di a-crescita felice, di ricerca e sperimentazione sui sistemi (servizi eco sistemici) e strumenti della governance territoriale.
Questo dibattito deve entrare nelle politiche nazionali e nelle opportunità di fuoriuscita dalla crisi anche attraverso i servizi forniti da immensi territori dove è possibile dimostrare come alcune politiche atte a contrastare il dissesto idrogeologico, l’abbandono dell’agricoltura di qualità, la desertificazione umana e naturale, sono possibili attraverso strumenti e metodi innovativi a partire dalla dovuta compensazione della fiscalità di vantaggio, alla nascita e crescita di un nuovo modello di imprese verdi.
Senza sofismi la legge deve entrare nel dibattito politico dell’economia e della coesione per dare nuova linfa all’Italia dell’eccellenza alla quale bisogna unire le tante aree (World Heritage, Riserve di Biosfera, Patrimonio Immateriale UNESCO, SIC e ZPS) che fanno del nostro paese il “giardino del mondo” al quale mancano tanti nuovi giardinieri.
Federparchi, Legambiente, Wwf, Lipu ed altri, devono chiedersi perché il mondo dei parchi manca ai tavoli nazionali di governo dove si decide il futuro della nostra nazione e smetterLa di contrastarsi su uno dei più importanti beni comuni della nostra bella nazione.
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