La politica degli amici
| di Massimo CaliseLa parola politica è spesso accompagnata da espressioni poco lusinghiere dovute alle sue, purtroppo, frequenti manifestazioni patologiche. Io, qui, vorrei definirla in modo diverso, solo apparentemente, positivo: ‘politica degli amici’, ossia politica fatta con e per gli amici. ‘È un amico!’ sembrano giustificarsi, e l’amico ricambia il favore ottenuto con la sua fedeltà che spesso si concretizza con un ‘vota e fai votare’. Non è un costume nuovo; l’attuale crisi, direi il pantano, in cui versiamo è anche frutto di tanti vantaggi personali, piccoli e grandi. Il favore, la raccomandazione, lo scambio sono pratiche diffuse a tutti i livelli della società e ce ne scandalizziamo quando non ne siamo i beneficiari. Chi non è stato avvicinato, nell’approssimarsi delle elezioni, da un conoscente che gli ha suggerito: ‘vota X, è un amico’? E noi come abbiamo reagito?
La ‘politica degli amici’ è la mimesi del clientelismo, una nuova forma, apparentemente bonaria, di un pilastro della cultura politica meridionale.
Quasi quotidianamente apprendiamo di politici che hanno messo in atto comportamenti che, anche quando non hanno rilevanza penale, suscitano lo sdegno, a mio avviso scarso, dell’opinione pubblica. Faccendieri, forti di amicizie politiche, parlano cinicamente dei vantaggi che potranno ottenere da una catastrofe naturale.Un ministro telefona a potenti amici per dimostrare loro solidarietà per i congiunti accusati e incarcerati per gravi reati. Un altro mostra interessamento per gli affari privati di amici e minaccia chi ostacola il suo operato. Non manca il turpiloquio, ma si sa: fra amici!
Ma forse l’esempio migliore lo fornisce il senatore del Nuovo Centro Destra Giuseppe Marinello che in una intervista (La Repubblica del 27-12-2013) si dimostra fiero di aver fatto inserire nel decreto ‘salva Roma’ uno stanziamento per restaurare un ex convento dei Gesuiti di Sciacca. Sostiene che gli è stato richiesto dal sindaco della cittadina, compagno di partito e aggiungo io ‘amico’. Egli dichiara: «Oggi la gente vuole i politici vicini al territorio, e io faccio gli interessi della mia Sicilia. Ma quale clientelismo».
Quanti si scandalizzano per una tale affermazione? Spero molti, credo pochi.
Il senatore è coerente e sincero, è nella personale esperienza di molti il politico che bada agli interessi del suo collegio, del suo partito e degli amici. Ma è questo l’interesse del Paese? Da ciò derivano vantaggi duraturi anche per le realtà locali? Provvedimenti ‘a pioggia’ che, anche quando non si limitano ad assicurare vantaggi personali a pochi prescelti, non sono in grado di offrire uno sviluppo che solo lo studio, e la realizzazione, di progetti di ampio respiro può garantire. Si evidenzia il permanere di una cultura di sfondo che mortifica la razionalità, che non pone al centro del dibattito il bene comune che, oggi più che mai, non può essere da difesa di un campanile o di un collegio. Mali antichi; clientelismo, trasformismo, rivendicazionismo sono storici pilastri della cultura politica meridionale. Qualche maquillage, un’apparente modernizzazione, non ne intacca la sostanza. La fedeltà al politico non è relativa a riferimenti ideali e programmatici, la ricerca di un potere solido e duraturo può comportare cambi di partito o di corrente, la lamentela rancorosa non diviene partecipazione organizzata ed informata.
Evidentemente, negli anni, sono stati introdotti elementi di novità, ma mai strategici, e comunque mai tesi a modificare la cultura politica diffusa.
Tutto ciò ha responsabilità politiche, vecchie e nuove, locali e nazionali, ma, al contempo, richiama ciascuno di noi alle sue responsabilità. Occorrerebbero iniziative che diano una chiarezza, anche teorica, a concetti come democrazia, cittadinanza, partecipazione, beni comuni. Questa cultura di sfondo deve essere cambiata, occorrerà tempo ma già iniziare è buon segno; e un giorno ‘la politica degli amici’ sarà rimpiazzata dalla ‘politica delle idee’.
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