A 40 anni dal terremoto in Irpinia: quasi tremila morti e paesi rasi al suolo
| di RedazioneUna catastrofe. Il terremoto in Irpinia è senza dubbio l’evento sismico del Sud Italia più drammatico del XX secolo, dopo il terremoto di Messina e Reggio del 1908 (quest’ultimo la più grave catastrofe naturale in Europa per numero di vittime).
In Irpinia
Il 23 novembre 1980 alle 19.34 per 90 secondi la terra tremò in Campania, Basilicata e un’area limitata della Puglia. Quasi 3mila morti, più di 8mila feriti e 300mila senzatetto: sono i drammatici numeri del terremoto dell’Irpinia. L’epicentro fu registrato tra i comuni di Teora, Castelnuovo di Conza e Conza della Campania. Il sisma interessò un’area di 17mila chilometri quadrati. Alcuni dei paesi vicini all’epicentro, tra i quali Lioni, Santomenna, Laviano e Muro Lucano, furono quasi rasi al suolo, altri gravemente danneggiati.
Il crollo della Chiesa Madre di Balvano
A Balvano, paese del potentino, mamme, papà e nonni, accompagnarono bambini e ragazzi alla messa dedicata ai giovani. La meta era la Chiesa Madre di Santa Maria Assunta. Alle 19.30 inizia la funzione. Quattro minuti dopo, il tempo di fare il segno della croce. Il pavimento iniziò a tremare sotto i piedi, sempre di più. Novanta secondi di violenza inaudita. Crollò il tetto e la balaustra dell’ingresso, occludendo l’ultima via di scampo. Morirono 66 persone, per lo più giovani. Nessun sopravvissuto a quella tragedia rimasta il simbolo del terremoto in Irpinia.
Il ritardo dei soccorsi
Ma ad aggravare la situazione fu il ritardo dei soccorsi, arrivati in tutte le zone colpite solo cinque giorni dopo. L’inefficienza dei soccorsi fu denunciata anche dall’allora capo dello Stato Pertini, di ritorno dall’Irpinia, in un discorso in televisione. Alla scossa principale ne seguirono molte altre nelle ore e nei giorni successivi, che provocarono ulteriori danni.
Tra ricostruzione e speculazione
La ricostruzione fu uno dei peggiori esempi di speculazione su una tragedia. Durante gli anni si sono inseriti interessi loschi che dirottarono i fondi verso aree che non ne avevano diritto, moltiplicando il numero dei comuni colpiti: 339 paesi in un primo momento, che diventarono 643 in seguito a un decreto dell’allora presidente del Consiglio Arnaldo Forlani nel maggio 1981, fino a raggiungere la cifra finale di 687.
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