Addio a Tarallo, Aceto: «Peppe difendeva il Cilento»
| di Luigi MartinoSi è spento ieri pomeriggio, martedì 23 marzo, all’ospedale Ruggi di Salerno, Giuseppe Tarallo (nella foto in alto), ex presidente del Parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, e primo sindaco ‘verde’. E’ deceduto in seguito ad un intervento. La sua scomparsa ha gettato il Cilento nello sconforto. In molti lo ricordano. Tra i post social più accorati, troviamo quello del ‘compagno’ Sebastiano Aceto. Lo riportiamo integralmente di seguito.
Viviamo un tempo nel quale tutti i giorni dobbiamo fare i conti con la finitezza, la fragilità e la precarietà della vita. Un killer spietato , invisibile e, non ancora pago, ha messo la parola fine a un milione ,e più, di esistenze , nel nostro pianeta. Abbiamo visto a causa di esso e, per altre ragioni, cadere tante persone a noi vicine o, a noi , prossime, alle quali ci legavano vincoli parentali, amicali, affettivi, percorsi di vita , storie ,ideali, comuni e condivisi. E , ogni volta, pensi di avere dato fondo a tutto il tuo dolore, a tutta la tua sofferenza. Poi , arriva , come un pugno nello stomaco, la notizia della morte del compagno Peppe Tarallo e il dolore , la sofferenza, la rabbia, lo smarrimento, ti scuotono come un albero nel mezzo di un uragano.
Io sento la sua perdita come un’amputazione violenta e inaspettata di una parte di me e della mia vita. Un vuoto, una ferita, non rimarginabili. Le nostre vite si sono incrociate e, poi, intrecciate in tempi lontani, gli inizi degli anni settanta, gli anni dei miei studi al Liceo Classico di Agropoli , gli anni della nostra “meglio gioventù”. In quegli anni, segnati dalla contestazione della presunta neutralità del sapere, funzionale alla perpetuazione del potere da parte delle classi dominanti, in quegli anni in cui la dura realtà quotidiana del figlio di un minatore e di una contadina trasmutava in sogni ed utopie , Peppe e il fratello gemello Alfonso hanno accompagnato la mia educazione sentimentale alla politica , in un percorso che ha trasformato le mie vaghe idee di socialismo, di allora, come direbbe Guccini, in coscienza compiuta , in sistema di valori, in appartenenza politica identificazione di classe descritte dalle due parole più belle e straordinarie da me conosciute , Comunista e Compagno. Ho conosciuto in quegli anni la sua cultura , la sua onestà, la sua intransigenza, il suo rigore etico e morale. E il suo coraggio.
Valori che hanno accompagnato tutta la sua vita , come tavole della Legge incise sulla pietra. Anche quando , come altri in Italia, lo straordinario Alex Langer, e in Europa, come Daniel Cohn Bendit, provenienti dallo stesso retroterra politico- culturale, aveva deciso di impegnarsi nella costruzione , nel Cilento e nel Paese, di un forte soggetto ambientalista che fosse capace di parlare alla coscienza di grandi masse, che incrociasse la storia , la cultura e le lotte del movimento operaio, che ponesse la consapevolezza della finitezza delle risorse naturali al servizio di un modello di sviluppo sostenibile ed eco-compatibile. Un modello in cui l’uomo non si sentisse, ottusamente , onnipotente , capace di dominare e piegare al suo volere, ai suoi bisogni, a questo suo delirio di onnipotenza le leggi di Natura e di Vita. Salvo scoprirsi,poi, come accade in questo tempo, indifeso e alla mercè di un essere insignificante, un virus, che non si vede , neanche, ad occhio nudo. Insomma , contrariamente, alla pratica, irregolare anche in questo, della maggior parte dei dirigenti del suo Movimento, Lui lo pensava più di lotta , che di Governo.
Principi e valori , come stella polare del suo agire, anche quando è stato chiamato ad esercitare ruoli e funzioni di governo e amministrazione del territorio, come Sindaco di Montecorice e come Presidente del Parco Nazionale del Cilento Alburni e Vallo di Diano, quando il Parco , della cui istituzione era stato propugnatore, muoveva i suoi primi passi tra lo scetticismo e l’ostilità della popolazione che più che come un volano capace di promuovere lo sviluppo di un territorio abbandonato a se stesso e agli spiriti selvaggi del mercato sulla costa e della politica della clientela e del servaggio nelle zone interne, lo vedeva come un gendarme portatore di vincoli , divieti e prescrizioni.Sicuramente altri più, e meglio di me racconteranno di Peppe , del suo percorso di vita, umano e politico. Io , infine, voglio ricordare solo due momenti che testimoniano, l’uno del suo coraggio, l’altro della sua umanità. Sicuramente egli era un uomo coraggioso , che si impegnava , spesso da solo, come cittadino, come politico e come amministratore, in battaglie che confliggevano con interessi e poteri forti ,politici , economici e malavitosi. Si deve al suo coraggio e alla sua determinazione la confisca dell’ecomostro , denominato Hotel Castelsandra, costruito sulla collina che domina Castellabate. Ed è stato ancora Lui, solo, fino a pochi giorni fa a gettare l’allarme e a denunciare i tentativi, neanche tanto nascosti, di restituire la disponibilità dell’immobile e dei suoli ai vecchi proprietari , riciclati e camuffati in un progetto di riqualificazione che prevederebbe resort, campi da golf e da tennis, forse una SPA , che fa sempre tendenza. Peppe si batteva, e ,chissà, se qualcuno raccoglierà il testimone, affinchè ai cilentani sia restituito quello che gli è stato rubato : la macchia mediterranea, con i suoi suoni, i suoi odori e i suoi colori.
Peppe difendeva la natura dalla violenza che l’uomo esercitava su di essa , immaginandola come corpo vivo, capace di sentire dolore e sofferenza. Quindi , con analoga intransigenza , riteneva inviolabili la dignità dell’uomo ( e della donna) e dei loro corpi . Per questo motivo insieme ai familiari, Vincenzo, Caterina, Grazia e a Peppe Galzerano aveva contribuito a fondare il Comitato Verità e Giustizia per Franco Mastrogiovanni, il Maestro, amato dai suoi bambini, sattoposto ad inaudita violenza fisica e psicologica, fino alla morte , in un luogo che dovrebbe essere di vita e di cura, come l’Ospedale di Vallo Della Lucania. Nella sua attività di diffusione della storia di Franco e di richiesta di Verità e Giustizia , con coraggio e incurante dei rischi e del prezzo che avrebbe pagato, criticò e censurò pubblicamente ,l’arringa finale della Pubblica Accusa,rappresentata dal Dott. Martuscelli, che infatti lo querelò. Di fronte alla querela, Peppe era sereno, convinto di avere obbedito ad un moto della sua coscienza.
Solo un poco preoccupato per le conseguenze che un procedimento lungo e costoso avrebbero potuto avere sulla sua non lauta pensione.Nel dipanarsi di questo mio ricordo di Peppe ,ho citato Alex Langer. Alex e Peppe anche se, forse non si sono mai conosciuti, hanno certamente condiviso un percorso comune a tanti della loro generazione, il generoso tentativo di quello che chiamammo l’assalto al cielo, con il suo carico di sogni infranti e utopie sconfitte , ma mai vinte, di vittorie(poche) e di delusioni( tante),personali e collettive. Sentieri della vita , idealmente percorsi insieme, da Alex e da Peppe che ,anche se uguali nelle conseguenze, si divaricano drammaticamente e inconciliabilmente nel loro esito finale.: Alex, tormentato dagli orrori, visti nella guerra tra etnie nella ex Jugoslavia, e da chissà quanti altri pensieri, decide lucidamente di porre fine alla sua vita facendosi penzolare da un ciliegio in fiore, nella campagna toscana. Peppe che al contrario voleva vivere, e il più a lungo possibile, perchè sentiva il bisogno di tante parole ,ancora da dire , di tante cose ancora da fare, di carezze e di affetto da dare e ricevere, di vedere crescere e diventare uomini e donne i suoi nipoti, che amava smisuratamente è stato privato, contro la sua volontà, di questa possibilità.
Così , come rispetto la scelta di Alex,pur non sapendo a chi o contro chi rivolgere la mia rabbia, trovo ingiusta e crudele la morte di Peppe.Spero , solo, di essere io in errore e che abbia ragione chi crede che esiste un’altra vita oltre la nostra esistenza terrena, e che in essa Peppe possa incontrare il suo fratello gemello Alfonso , e pacificare , così, il suo spirito ,tormentato dalla separazione provocata dalla morte, anche essa ingiusta e crudele, di Alfonso. Caro Peppe, in partenza per un viaggio senza ritorno, ti saluto, come ho salutato Alfonso, nel nostro modo bello e antico: A PUGNO CHIUSO.
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