Agropoli, truffa reddito di cittadinanza: madre e figlia condannate

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Agropoli, truffa reddito di cittadinanza: madre e figlia condannate

Due donne di Agropoli, madre e figlia, sono state condannate in via definitiva dalla Corte di Cassazione a 2 anni e 4 mesi di reclusione per truffa, avendo indebitamente percepito il Reddito di cittadinanza. Nonostante possedessero auto intestate, una pensione e un lavoro, le due donne sono riuscite a ottenere il sussidio tramite dichiarazioni false, in violazione dell’articolo 7 del decreto legge del 28 gennaio 2019.

La Cassazione ha recentemente rigettato i ricorsi presentati dalle imputate, confermando le condanne e le motivazioni della sentenza. La vicenda giudiziaria ha avuto origine dalla sentenza di primo grado, che ha rivelato come una delle donne avesse omesso di dichiarare la proprietà di un’auto e di altre quattro intestate al marito, oltre a quote di proprietà di un immobile e agli emolumenti pensionistici spettanti alla madre deceduta. La figlia, invece, aveva dichiarato falsamente di non essere occupata, mentre in realtà era titolare di una ditta individuale. Quest’ultima aveva presentato domanda per il Reddito di cittadinanza utilizzando una dichiarazione Isee mendace, fornita dalla madre.

La difesa delle imputate aveva avanzato diversi motivi nei ricorsi, sottolineando come la Corte territoriale avesse considerato solo alcune delle loro argomentazioni. In particolare, era stato riconosciuto che le automobili e le quote immobiliari possedute dalle imputate e dagli altri membri del nucleo familiare fossero di scarso valore e quindi irrilevanti ai fini dell’ottenimento del sussidio. Inoltre, le somme percepite erano state quasi completamente restituite.

Tuttavia, il tribunale di primo grado aveva condannato le due donne basandosi esclusivamente sulla falsità delle dichiarazioni rese, indipendentemente dal fatto che le condizioni economiche reali fossero sufficienti per accedere al beneficio. In effetti, se le imputate avessero dichiarato correttamente i loro redditi e la loro situazione patrimoniale, non avrebbero superato i rigidi limiti previsti dalla normativa.

La difesa aveva anche contestato il mancato accertamento da parte dei giudici d’appello sul fatto che la percezione dei ratei pensionistici avesse o meno comportato il superamento dei limiti di legge. Inoltre, era stato argomentato che la figlia, sfrattata per morosità dai locali della sua attività commerciale, avesse subito una sostanziale perdita economica, e che, ai fini del diritto al Reddito di cittadinanza, dovesse essere considerato il reddito percepito e il patrimonio disponibile, piuttosto che la mera qualifica di imprenditore.

Nonostante queste argomentazioni, la Cassazione ha dichiarato infondati i ricorsi. I giudici hanno considerato il caso della madre una “mera operazione aritmetica”, priva di difetti di motivazione, mentre per la figlia la questione è stata superata dal fatto che la domanda per il sussidio fosse stata presentata utilizzando una dichiarazione Isee falsa.

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