Greenpace: stiamo saccheggiando le risorse marine. Presentato il rapporto “In un mare di guai”
| di Luigi MartinoI tre quarti delle popolazioni ittiche di interesse commerciale sono sfruttate oltre il limite e quasi il 90% delle popolazioni delle specie di maggior valore (dal merluzzo atlantico al tonno, al pesce spada del Mediterraneo) è stata pescata.
Il rapporto che Greenpeace ha presentato, «In un mare di guai», denuncia le cause principali della crisi della pesca: dalla potenza delle flotte pescherecce, sostenute da oltre 30 miliardi di dollari l’anno di sussidi pubblici, all’uso di metodi di pesca distruttivi, al fallimento della lotta alla pesca illegale come, ad esempio, le spadare italiane che continuano a pescare malgrado il bando delle Nazioni Unite (1992) e dell’Unione Europea (2002).
Le spadare, o «muri della morte», sono reti lunghe anche venti chilometri. Vanno alla deriva uccidendo, oltre al pescespada, delfini, capodogli, tartarughe e altre specie marine. Alla fine degli anni Novanta, le spadare uccidevano circa 8.000 cetacei l’anno. Malgrado ciò, vengono ancora usate: nel solo biennio 2005/2006, in Italia ne sono state sequestrate oltre 1.500 chilometri.
Un esempio ancora peggiore di gestione della pesca nel Mediterraneo è quello del tonno rosso, utilizzato per il sushi adorato in Giappone: oltre l’80% dello stock è ormai perduto, ma gli Stati continuano ad assegnarsi quote legali doppie, circa 30.000 tonnellate, rispetto a quanto la ricerca scientifica indica per preservare questa risorsa.
Questa pesca indiscriminata è causata anche dal boom dell’ingrasso del tonno. Dalle reti, i tonni passano all’interno di gabbie e vengono fatti ingrassare per qualche mese prima di essere venduti. In tutto il Mediterraneo gli «allevamenti» hanno una capacità che si avvicina alle 60.000 tonnellate, con una quota di pesca di 32.000 tonnellate. Per non parlare degli impatti sui siti dove si trovano gli allevamenti: gli escrementi dei tonni e il pesce (mangime) non mangiato possono causare acque torbide e maleodoranti, come successo recentemente a Marina di Camerota, con evidenti ripercussioni sul turismo.
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