Auguri DaZero, baluardo di Cilentanità e vetrina vera del nostro territorio
| di Luigi MartinoDaZero, esattamente oggi, compie 5 anni di attività. Ho preferito non scrivere subito, quando l’invito è piombato tra le mie chat di Whatsapp. Ho bisogno del pomeriggio giusto e della brezza adatta. Il momento è questo qui, con le gambe a cavalcioni sullo scoglio che mi ha cresciuto e un tramonto di fronte che non ci provo nemmeno a descrivere i colori. Dico sempre così e poi mi smentisco immediatamente dopo. Queste sono tinte mai incontrate, però. Macchie di vento che spingono l’arancio contro il giallo e poi le onde contro altre onde. Gli schizzi fanno a gara a chi arriva più in alto. I gabbiani li fanno illudere. Li sfiorano ma non si fanno toccare. E così nessuno vince e l’andirivieni dell’acqua non si ferma. E’ ciclicità. E’ abitudine.
La stessa abitudine, fottuta abitudine, che ti fa’ dimenticare di consultare l’orologio quando poggi i tuoi pensieri sulle sedie della pizzeria DaZero. Può essere quella di Vallo della Lucania, la prima, inaugurata nel 2014. O quella di Milano, a via Luini, aperta nel 2017. Poi Matera nel 2018 e di nuovo Milano, un’altra, in via dell’Orso, sempre nel 2018. Oppure Torino, febbraio 2019. Quattro regioni hanno aperto le braccia, le hanno posizionate a mezza luna, con i palmi rivolti verso l’alto. E non per recitare il ‘Padre nostro’, qui sì, siamo in chiesa, la chiesa del gusto e dei vizi, ma le hanno aperte così per caricarsi sopra il pregio di ospitare cinque scrigni di bellezze ‘made in Cilento’. Il peso è troppo adesso che ‘DaZero’ non sforna più solo pizze, ma soprattutto racconti e storie di un territorio che non ha tanto bisogno di cravatte e faldoni ma di mani impiastricciate di prodotti zappati dai nonni e nelle conserve accarezzate dalle melodie sapienti delle nonne. Le nostre nonne.
Sono quelle persone che hanno disegnata sul volto, con i solchi delle rughe, la cartina geografica del secondo Parco nazionale per estensione della nazione, che sul groppone portano tutto il peso della nostra esistenza. E sono i loro figli, Giuseppe Boccia, Carmine Mainenti e Paolo De Simone, che il 23 luglio di cinque anni fa, hanno lasciato tutto quello che stavano facendo per accendere una lampadina che adesso è un fuoco fortissimo. Divampa fiero, in giro per l’Italia. E il Cilento ringrazia, si presenta, entra nell’animo del cliente e lo prende per mano. «Vieni, ti accompagno a vedere posti che non hai mai visto e ti faccio saggiare diamanti che escono dal quel forno lì. Diamanti che puoi masticare». Incredibile. Sotto la lingua resta quello che le papille registrano. Sapori d’antico che s’attaccano al torace prima di addormentarsi in quella pancia sorridente. Chissà che non pensiamo tutti la stessa cosa quando in bocca ci capita una poesia così.
Gli ambasciatori indiscussi del Cilento, ai giorni nostri, non occupano più le sale dei grandi palazzi della capitale, non hanno nessun titolo dinanzi al proprio cognome. Ora accolgono comitive e cene di lavoro, pranzi d’amore e banchetti nascosti. Indossano il mantesino come le vecchiette nei vicoletti di quei paesi che fanno da cornice alla città ai piedi del Gelbison. Le vedevi a Moio, Novi, Pellare, Cannalonga. Erano facce stanche ed enciclopedie troppo piene di nozioni per aprir bocca. Ascoltavano sempre tutto. Intervenivano solo quando c’era bisogno di farlo. Lavoravano i pomodori che gli uomini portavano dai campi. Le conserve sono patrimonio dell’umanità, quaggiù è cosa logica, eppure l’Unesco ancora lo deve scoprire. Un po’ come il pesce azzurro che nelle cassette in legno non lo potevi fissare dalla troppa lucentezza. Vibrano le alici accanto agli sgombri e ai pesci sciabola. Le lampare illuminano l’orizzonte da punta Licosa agli Infreschi. Due aree marine protette e un mondo sommerso che sulle pareti dei cinque locali ‘DaZero’, viene spaccottato e servito assieme alle mozzarelle di Paestum e alla soppressata di Gioi. Al centro c’è quel lardo disegnato in modo perfetto. E’ bianco come il cacioricotta di capra che insieme alla bufala, al pesto di rucola nostrano e ai pomodorini datterini gialli di Rofrano, sono i pezzi perfetti di un puzzle che si chiama La Primula di Palinuro. E’ la pizza ‘nuova’ ideata dai pizzaioli di DaZero proprio per festeggiare i cinque anni di attività. Con i colori ricorda il simbolo del Parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni. Con il sapore ti lancia fin sù il monte Cervati e poi torna a prenderti per accarezzare insieme il Pianoro di Ciolandrea e le corna attorcigliate delle capre nere cilentane.
Ogni angolo, in mezzo a questo soffice paradiso di gente che esiste per davvero, nasconde meraviglie che se te le vai a prendere, nessuno s’oppone. Giuseppe, Carmine e Paolo non hanno scoperto nulla di nuovo. Hanno però avuto la lungimiranza, la caparbietà e la follia di mettere tutto insieme. E qui non è questione di ciccimmaretati, la zuppa povera cilentana con legumi e cereali. Lì gli ingredienti sono stati buttati alla rinfusa e il piatto è straordinariamente colorato quanto buono. Questi tre, che ormai proprio giovincelli non sono più, hanno puntato tutto e c’hanno investito il cuore in questa scommessa. E quando ci metti quello lì, che continua a battere nonostante la fatica e gli ostacoli, difficilmente sbagli.
Auguri DaZero, baluardo di Cilentanità e vetrina vera del nostro territorio. E grazie per la nobile missione che svolgi in giro per l’Italia. Magari chissà, un giorno, in giro per il mondo!
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