Calcio dilettantistico, dubbi ripresa: squadre Cilento fiduciose su decisione
| di Redazionedi Giangaetano Petrillo
Il Consiglio Federale, che si è riunito oggi, sembra essere compatto verso l’obiettivo del ritorno in campo. Il calcio professionista, per lo meno lui, Serie A, B e C, dovrà quindi ripartire. Questo quanto sarebbe emerso dalle indiscrezioni del Consiglio che, con dinamiche da dettagliare, vuole ripartire. La serie A, quindi, riparte con la volontà di disputare tute le restanti partire senza alcun formato ridotto. La data ultima più probabile per una ripresa del campionato sembra essere quella del 20 giugno, anche se la possibilità di anticipare al 13 giugno non è stata del tutto scartata. Il calendario sembra essere così impegnativo, dovendo giocare ogni tre giorni. E anche per le due serie minori, la B e la C, proseguirà il campionato sempre con la ripartenza prevista per il 20 giugno con la stagione che si chiuderà il 20 agosto.
Per quanto riguarda nello specifico la terza serie, la C, viene bocciata la proposta di Ghirelli che prevedeva di fermare i gironi e decretare le tre regolari promozioni più la quarta senza disputare i playoff. Se per le tre serie maggiori sembra che il tutto potrà ripartire, seppur mantenendo fede alle nuove linee guida promosse dal ministero per lo Sport e da quello della Salute, per il calcio dilettantistico non ci sarà ripartenza. Infatti le decisioni per quanto riguarda promozioni e retrocessioni saranno prese nel prossimo Consiglio Federale, già in programma. Nel nostro territorio sono principalmente 6 le squadre che attendono la decisione che determinerà il futuro calcistico di diverse realtà associative dilettantistiche. Sono la Polisportiva Santa Maria Cilento, prima del girone B per l’Eccellenza; la Virtus Cilento, prima nel del girone D per la Promozione; l’U.S. Poseidon 1958 e il Sassano Calcio, entrambi secondi del girone F per la Prima Categoria; il C.S. Lentiscosa, prima del girone L per la Seconda Categoria, ed infine il Supersantos, prima del girone E per la Terza Categoria.
Società che stavano, con duro lavoro, impegno e sacrificio, cercando di raggiungere un obiettivo importante e dirimente per la propria storia e, ancor più importante, per il proprio futuro calcistico. Non sempre è facile portare avanti, senza determinazione e passione, un progetto calcistico in un territorio che già di per se soffre per la scarsa attenzione verso servizi essenziali. Figurarsi per il terzo settore, per l’associazionismo e per il mondo dilettantistico del calcio. Purtroppo la scure del Covid-19 ha reso ancor più impraticabile per molte delle piccole realtà calcistiche proseguire il proprio impegno sociale. Perché qui il calcio non è solo sport. Anzi, vive una dimensione diversa dello sport. Qui oltre ad allenare i muscoli, le gambe e a saper spezzare il fiato in campo, lo sport allena soprattutto l’umore di una generazione che si vedrebbe sempre più vulnerabile e intimorita. Qui oltre al fiato, il campo verde rettangolare, spesso fatto di fango e sabbia fine, sottilissima che respiri insieme al tuo sudore, spezza le ansie, le paure, la rigidità sociale di un territorio che si sente da sempre ai limiti del mondo, dimenticato da tutti, dove persino Cristo fermandosi ad Eboli, non ebbe il coraggio di entrarvi.
Finire o meno il campionato qui viene spesso tradotto in perdite economiche importanti. Non parliamo dei milioni di cui si parla dei tg nazionali. Qui nessun calciatore, o “ragazzo che gioca al pallone”, contratta su uno stipendio al ribasso. Non esistono stipendi monstre e forse nemmeno è quello che si pretende. Qui, quella busta consegnata a fine partita, spesso furtivamente per non urtare la sensibilità di falsi moralismi, significa riuscire a sopravvivere. Esattamente, spingersi oltre quei grigi e tristi mesi autunnali e invernali, con la speranza che arrivi presto l’estate per poter riportare dell’altro ossigeno alle proprie casse ormai vuote già da settimane. Questo è realmente un “pallone” diverso, di quello che realmente ti viene voglia di calciare con violenza dentro la rete, oltre quella linea bianca, perché un goal in più vuol dire quale banconota in più da poter intascare. Un calcio che segue maldestramente forse il regolamento, ma che viene spesso, anzi quasi sempre, maldestramente regolamentato perché non fiati, non emerga, tutto quel marciume che abbiamo davanti agli occhi quotidianamente.
Allora è meglio che tutto venga buttato via? No, perché il lavoro, il sudore, la determinazione di temerari presidenti e società stanno portando avanti esempi bellissimi che, purtroppo, spesso vengono elogiati, intervistati, per poi dimenticarsene immediatamente dopo. Realtà che da anni hanno anche consentito a tanti ragazzi di riscattarsi, di responsabilizzarsi e di diventare adulti. Hanno insegnato loro cos’è un gruppo, una squadra, che non si ritrova solo in campo ma anche in cene e feste di divertimento, perché anche a tavola si “fa gruppo”. E fare gruppo, qui, in una terra di mezzo che non è viva ma non è del tutto morta, è creare quella ramificazione sociale tra diverse generazioni. Fare gruppo integrando i tanti ragazzi che arrivano da altre parti del mondo, per lo più dall’Africa, e vengono lasciati nei tanti centri di accoglienza del territorio senza alcuna reale prospettiva d’inserimento. Ecco, qui il calcio è anche integrazione, inclusione, opportunità per tanti ragazzi che arrivano carichi di speranze e sogni che si infrangono nella solitudine politico-sociale-economica in cui vive da decenni questo territorio. Quindi, i campionati dilettantistici possono anche non ripartire. Speriamo però che ci si ponga le giuste domande per sostenere una realtà che, come avete visto, trascende lo sport, il calcio e il pallone. Ma che sostiene socialmente ed economicamente una realtà territoriale molto complicata.
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