Cilento, il pescatore ‘senza nome’: «Rischiamo l’estinzione»
| di Luigi MartinoE’ una storia di mare ma triste. E solitamente le storie di mare non sono così. Chi vive certi posti è abituato a parlare con i tramonti, ad osservare i gabbiani e a riconoscere il sapore della brezza. Oggi, purtroppo, in Cilento, accade una cosa brutta. Dalla bocca dei pescatori, patrimonio di questo Parco, vengono fuori parole dure ma allo stesso tempo vere. Vere come le rughe che disegnano forme estinte sui loro volti. Vere come la bellezza di questa costa. «Prima si poteva fare tutto ma non c’erano gli strumenti digitali che ci sono ora e quindi la ricchezza in mare non finiva mai, perchè bisogna affidarsi ai segni identificativi lungo la costa e alla fortuna». Il primo pescatore con il quale ci intratteniamo qualche minuto, ha da qualche tempo superato i sessant’anni d’età e vive a Pioppi, patria della Dieta Mediterranea e terra di Angelo Vassallo, il sindaco-pescatore ucciso in un agguato quasi nove anni fa. Il pescatore fisse le funi che suonano una canzone d’amore mentre si drizzano stressate dalle onde. «Questo mare oggi non vuole stare ferma» esclama un po’ per pensare a cosa deve dirci dopo, un po’ per cambiare discorso. Poi torna sui suoi passi: «Qui quando ci facevano prendere i tonni, i pesci spada, quando ci facevano fare lo sciavichiello (un metodo di pesca ndr) andava tutto bene. Mo si sono messi con le aree marine protette, con il fatto che i tonni piccoli non si possono prendere, con le reti a pesci spada bandite ed eccoci qua. Siamo costretti ad andare sempre a merluzzi e a lampughe, ogni tanto a calamari e seppie, ma dobbiamo aspettare sempre i periodi buoni e con le tasse, il posto barca, le spese varie, non riusciamo a guadagnare niente più. Ci stiamo estinguendo noi mentre chi fa le leggi pensa di ripopolare i mari in questo modo». Il suo nome non vuol dircelo, anzi, dice: «Non c’è bisogno. Non ho un nome. Mi chiamano tutti con un qualcosa che ricorda il mare, ma nemmeno quello mi va di dirtelo». Poi prende un pezzo di rete tra le mani e se lo gira tra l’indice della destra e il pollice della sinistra.
«In altre località del Cilento sono stati furbi e gliene devo dare atto – continua l’uomo – ad esempio con le alici di Menaica, hanno valorizzato il prodotto e nel piccolo porto di Pisciotta c’è chi vive solo di quello. Perchè un barattolo di quelle alici costa caro, è presidio Slow Food, non so nemmeno se si dice così, ma fanno bene». Lo ringrazio e tendo la mano per salutarlo. Lui la stringe forte a se, mi tira verso di lui e mi sussurra a due palmi dall’orecchio: «Quelli che fanno le leggi là sopra sono dei ciucci. Sono andati alle scuole alte, è vero, ma per mare non ci sono mai venuti. Passate prima 50 anni in mezzo a questo inferno e poi vedete come fate le leggi buone per l’uomo e per la natura». Faccio sì con la testa e vado via.
La situazione è la stessa lungo tutta la costa del Cilento. «A me conviene vendere la licenza di pesca e la barca e andare per mare come un diportista e prendere i pesci che voglio. Se faccio traina con il vivo mi vendo un paio di dentici e sto apposto. Meglio quelli che le reti con i merluzzi che poi sul banco vanno a poco anche essendo pesci buoni. Stesso discorso quando è il periodo delle lampughe, una carne liscia e soffice la pagano a due euro al chilo perchè sono in sovrannumero». La voce lenta e precisa nei dettagli di quest’altro pescatore che ci spiega qualcosa in più. Forse perchè lui è più giovane, forse perchè a Casalvelino i tipi di pesca sono differenti. Capiamo subito che i motivi non sono questi: «Ho ascoltato per tanto tempo i racconti di mio nonno. Prima pescavano con le bombe, con lo strascico, tecniche molto distruttive, è vero. Ma adesso non si può più campare se vuoi osservare le regole e prendere solo i pesci che questi ci dicono di prendere. I tonni si buttano e loro nemmeno lo sanno, i bianchetti in piccole quantità perchè non ce li fanno prendere?». Poi mi raccomanda: «Non mettere nomi e foto che altrimenti succede il finimondo qua». Lo ascolto, come è giusto che sia.
La normativa vigente non aiuta i pescatori. Quelli che lo fanno per vivere si intende. I diportisti, invece, si divertono con altre tecniche e talvolta guadagnano anche qualcosina. C’è chi il raggiro lo trova, chi rischia, chi scarica di notte su anfratti nascosti, lontano da occhi indiscreti. Ma non è una vita tranquilla. E la vita del pescatore non è tranquilla a prescindere. Una vita fatta di rinunce, di sacrifici, di albe difficili e tramonti persi. «Il mondo è cambiato, i pescatori dovrebbero apprendere tecniche di conservazione per guadagnare qualcosina in più – spiega un esperto del settore – oppure dovrebbero fare in modo di sponsorizzare e incrementare il fenomeno della ‘pesca turismo’. Ma capiamo anche che non è facile, soprattutto per chi ha trascorso più giorni a mare che in terra della sua vita».
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