Cilento «romantico», con Lucia in viaggio tra i tesori nascosti
| di Lucia CarielloIl Giornaledelcilento.it apre una nuova rubrica che avrà cadenza settimanale, «Cilento da sogno». Un modo nuovo, per niente scontato, di presentare il Cilento in tutte le sue forme, senza mai tradire la sua naturale vocazione ossia quella di far innamorare chiunque lo visiti. Dalla montagna al mare, dai fiumi alle sue spettacolari cascate, il Cilento è da sempre una terra ambita da popoli in ogni tempo, con questa rubrica, il giornaledelcilento.it vuole presentare il Cilento con gli occhi di chi lo ama e vuole raccontarlo: Lucia Cariello è una di queste. Un’archeologa cilentana, giornalista, raffinato cultore del bello e nascosto ai più.
Buona lettura, quindi, a tutti coloro che gradiranno seguirci in questa nuova avventura.
Iniziamo da Sacco, piccolo borgo dell’Alto Calore, entroterra cilentano.
Questo è il mio paese
Il mio paese dalle case accatastate, dai rilievi che lo incorniciano tutt’intorno con ciuffi di decorazione arborea che li accarezza sottolineandone i confini come di un reame incantato. Il mio paese, dal fiume più ricco e pittoresco della regione, un fiume così innamorato che è lì che se lo abbraccia come una calda sciarpa lucente. Un fiume dalle sponde aspre e selvagge con acque dalla caratteristica colorazione verde e turchese, che fa paesaggio, fa panorama ed il paese deve moltissimo a lui della sua pittoresca attrattiva.
A Lui, a quel fiume incantato, sembrano dedicati questi versi di Hermann Hesse:
Serenamente contemplava la corrente del fiume; mai un’acqua gli era tanto piaciuta come questa, mai aveva sentito così forti e così belli la voce e il significato dell’acqua che passa. Gli pareva che il fiume avesse qualcosa di speciale da dirgli, qualcosa ch’egli non sapeva ancora, qualcosa che aspettava proprio lui.
Un fiume (il Sammaro) orgoglio di tante generazioni che seppur emigrati risentono ancora il “rumore” dolce ed allo stesso tempo assordante di quella Sorgente, sogno e delizia degli abitanti, nostalgia e ricordo, dolceamaro, di chi oramai è lontano. Il mio paese ha un antico e glorioso passato fatto di storia e leggenda, le cui vestigia possenti, vive, palpitanti guardano con occhio vigile ed accorto il paese “nuovo” quasi “accucciato” ai suoi piedi, come a voler esser protetto da un vecchio padre che osserva amorevole ma severo la vita dei suoi figli. Piccolo gioiello incastonato nella roccia insegue orgogliosamente le tracce del suo passato come una sorta di nuova forma di benessere che tocca l’anima e stimola gli occhi a curiosare nel passato. In questo contesto non si può fare a meno di celebrare la magnificenza della Chiesa di San Silvestro Papa, gioiello del barocco classico del settecento, scrigno di tesori d’arte, così descritta da Don Carmine Troccoli, parroco del paese e direttore del Santuario del monte di Novi Velia: “Chi entra nella chiesa di San Silvestro si rende subito conto della sua grandezza e della sua elegante architettura, e la mente, spontaneamente, si eleva a Dio”.
Il nome del mio paese? Certo non l’ho ancora detto: Sacco.
Si lo so, in pochi lo conoscono, in pochissimi lo hanno visitato ma per questi pochi eletti l’innamoramento è istantaneo. Qui d’estate il verde delle cime sfiora l’azzurro del cielo e d’inverno il bianco della neve si confonde con le basse nubi cariche di fiocchi. Un luogo dove nel tempo sono cresciute e hanno preso vita arti e mestieri. Un paese dove ancor oggi si fondono tradizione e novità, in un luogo in cui è possibile percorrere antiche vie e sentieri nascosti tracciati da nuove mani sulle tracce di storie lontane, che si snodano tra valli e crinali. Un luogo fuori dal tempo che contempla il passato come valore aggiunto non da scartare, dove il “a chi appartieni” ha il sapore di famiglia, di Gens, insomma di quel passato che sa di buono. Il mio Sacco è un piccolo borgo certo, 492 abitanti, ma sono un piccolo grande concentrato di cultura e tradizioni, valori oramai surclassati dalla velocità dell’oggi ma che vedono nello ieri quella genuinità che andrebbe recuperata. Forse, anzi sicuramente, dovremmo un po’ tutti far ritorno in questi luoghi per recuperare quella vita “vera” sostituita da un oggi che sa di nulla.
Contenuto in “158 – Salerno, una provincia da gustare” di Enzo Landolfi, PrintartEdizioni
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