Coronavirus: Antoon Van Dyck e il culto di Santa Rosalia
| di Redazionedi Giangaetano Petrillo
La prima cosa bella di questa triste emergenza è l’immagine di Santa Rosalia, Santa invocata da sempre per battere le pestilenze. La patrona di Palermo si dice abbia salvato la città dalla peste nel 1625 dopo una processione di massa che, anziché diffondere il contagio, lo dissolse. S. Rosalia visse a Palermo tra il 1130 ed il 1170 durante il Regno di Sicilia di Guglielmo I e, secondo la tradizione, fu damigella della moglie del re, la regina Margherita. Parliamo di un’epoca lontana, che ci viene tramandata da documenti scritti e meravigliosi monumenti che ancora oggi possiamo ammirare. Ma quel tempo sembra riaffacciarsi cauteloso. Quello in cui visse Santa Rosalia fu un periodo di intensa spiritualità cristiana caratterizzato, dopo l’interruzione della dominazione araba, dal risveglio del monachesimo bizantino e occidentale accolto con entusiasmo dai re normanni.In questo contesto Rosalia visse l’eremitaggio poiché la scelta di una vita solitaria in preghiera e contemplazione era l’espressione più alta della sensibilità religiosa di quel tempo. Figlia di Sinibaldo dè Sinibaldi, la tradizione vuole che fosse figlia di nobili, ai quali Ruggero d’Altavilla concesse un grande possedimento alla Quisquina e il monte delle Rose. Si narra che il padre, per obbedienza al sovrano, le chiede di sposare il conte Baldovino per ricompensarlo di aver salvato la vita al re. Ne ottiene un rifiuto e la manifestazione del desiderio di lei di darsi alla vita religiosa. Abbandona la casa paterna, accede all’ordine delle monache basiliane, sceglie la vita eremitica e vive, per circa 12 anni, presso una piccola cavità carsica nel bosco della Quisquina. Ad avvalorare questa tradizione esiste una scritta, trovata il 24 agosto 1624, sulla parete destra dell’ingresso della piccola grotta “EGO ROSALIA SINIBALDI QUISQUINE ET ROSARUM DOMINI FILIA AMORE D/NI MEI JESU CRISTI IN HOC ANTRO HABITARI DECREVI”. Nella parte bassa della scritta, a sinistra, compare anche la cifra «12» che dovrebbe indicare gli anni in cui Rosalia visse in quel luogo. Abbandonata la grotta della Quisquina, Rosalia torna a Palermo e si sofferma per breve tempo nella casa paterna. Successivamente si rifugia presso una grotta, ricca d’acqua, accanto ad un antico altare, prima pagano e poi dedicato alla Madonna, sul Montepellegrino da tempo immemore ritenuto un monte sacro.Qui Rosalia visse in eremitaggio per circa 8 anni, fino alla morte, avvenuta il 4 settembre tra il 1160 e il 1170. Dopo oltre quattrocento anni il culto di Santa Rosalia viene riscoperto proprio durante una delle pestilenze più terribili, che si diffuse rapidamente in tutt’Europa. È la peste di cui parla lo stesso Alessandro Manzoni ne I Promessi Sposi, “con quelle insegne funeste di lividi e di bubboni”. Durante il 1624 a Palermo era pervenuto un vascello i cui occupanti erano portatori del virus della peste e l’epidemia si era presto diffusa in città, causando migliaia di morti. Girolama La Gattuta sale sul Montepellegrino il 26 Maggio 1624, giorno di Pentecoste, per adempiere ad un voto. Beve dell’acqua che gocciolava dalla roccia e ha la visione della Vergine Maria e di S. Rosalia.Le viene indicato un punto preciso in fondo alla grotta dove si sarebbe trovato “un tesoro”, “una Santa” e, insistendo per alcuni giorni con alcuni parenti e frati del convento vicino, ottiene di iniziare gli scavi. Il 15 luglio 1624 nel luogo indicato, sotto una grande lastra di marmo, vengono ritrovate ossa umane che emanano un intenso profumo di fiori. Sul monte salgono molte persone, pregano, bevono l’acqua e ottengono così molte guarigioni miracolose.Le ossa vengono pulite e portate in città nella cappella dell’Arcivescovo Giannettino Doria che vorrebbe certezza sull’autenticità dei resti. Il 27 luglio 1624Rosalia viene proclamata Patrona di Palermo dal Senato della città, spinto anche dal volere popolare. Il 9 giugno 1625si svolge la processione delle ossa di S. Rosalia con la partecipazione di numerosissima gente.Al passaggio delle ossa e precisamente al canto del “Te Deum Laudamus” gli ammalati guariscono dalla peste sotto gli occhi di tutti e il contagio si arresta.Gli scrivani del re annotano nei registri comunali il nome, l’età, il luogo della guarigione ed ogni dato di tutte le persone guarite.Infine il 3 settembre 1625, a poco più di un anno dal ritrovamento delle ossa, si ha l’estinzione completa dell’epidemia grazie alla miracolosa intercessione di S. Rosalia e viene ripresa la pubblica circolazione di “persone, animali e mercanzie”. Tra la numerosissima gente che partecipa a quella processione, c’è uno spettatore molto particolare. Un’artista venuto dalle lontane terre delle Fiandre invitato nell’aprile del 1624 dal viceré Emanuele Filiberto di Savoia perché gli facesse un ritratto. L’artista è Antoon Van Dyck, pittore fiammingo, principalmente ritrattista, che divenne il primo pittore di corte in Inghilterra. Poco tempo dopo il suo arrivo in Sicilia, come abbiamo ricostruito, Palermo venne colpita dalla terribile epidemia di peste che uccise lo stesso Emanuele Filiberto. Malgrado l’infuriare della pestilenza, Van Dyck rimase in città all’incirca fino al settembre 1625. Poco dopo il ritrovamento delle reliquie di santa Rosalia, allo stesso Van Dyck furono commissionate a Palermo alcune tele che avrebbero dovuto raffigurare la santa. Ed è proprio in queste tele che noi oggi possiamo ammirare l’arte del pittore e il suo metodo di pittura di rilassata eleganza, la bellezza che pervade ogni sua opera. Tra le tante raffigurazioni dell Santa riprodotte dall’artista, vogliamo condividere con voi la tela denominata “Santa Rosalia in gloria, intercede per la fine della peste a Palermo”, dove raffigura Santa Rosalia mentre intercede per la città e sullo sfondo si intravedono il porto di Palermo e il Monte Pellegrino. Un modo per condividere, oltre alla fede verso la Santa di Palermo, la bellezza. Queste meraviglie che riescono ancora oggi ad emozionarci.
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