Cultura, Istat: 78 milioni di euro persi a causa del Coronavirus
| di Marianna Vallonedi Giangaetano Petrillo
L’emergenza sanitaria e il decreto io resto a casa, che di fatto ha vietato qualsiasi spostamento se non per delle comprovate esigenze sanitarie e lavorative, hanno danneggiato anche i luoghi della cultura. E per un territorio come il nostro, che già in questo periodo iniziava ad accogliere i primi visitatori, ha significato ingenti perdite economiche e molti posti di lavoro in meno. La considerazione ci arriva dall’Istat che ha voluto ipotizzare l’entità della perdita. Si stima che l’emergenza sanitaria e il relativo lockdown, che ha chiuso i musei in tutta Italia, abbia causato, tra, marzo e maggio 2020, una mancata affluenza di quasi 19 milioni di visitatori e un mancato incasso di circa 78 milioni di euro.
Nello stesso trimestre dello scorso anno le strutture museali statali avevano registrato oltre 17 milioni di visitatori, realizzando introiti per 69 milioni di euro. Questo uno dei primi dati che rendiconta quanto, in previsione, si è perso a causa dell’emergenza legata al Covid-19. Il censimento dei musei e delle istituzioni similari condotto nel 2018 descrive un patrimonio culturale composto da 4.908 istituzioni tra musei, aree archeologiche e monumenti, statali e non statali, aperti al pubblico. E’ un patrimonio diffuso su tutto il territorio nazionale che complessivamente ha attratto, nel solo anno di riferimento, oltre 128mln di visitatori, tra italiani e stranieri. Questi sono dati che lasciano intendere quanto il fatturato economico italiano sia in parte legato profondamente al turismo culturale.
Le strutture statali hanno attratto 54mln 805.000 visitatori nel 2019. Una cifra di poco inferiore (-0,9%) al record storico di 55,3mln di visitatori raggiunto nel 2018. Di questi, poco meno della metà (45,7%) sono visitatori paganti e, grazie alla bigliettazione, sono stati realizzati introiti per circa 250mln. In particolare, nel 2019 il 52,8% dei visitatori totali (28 milioni 944 mila) ha visitato monumenti e aree archeologiche e il 25,9% (14 milioni 167 mila) ha scelto i musei. I circuiti museali, che comprendono più strutture visitabili con un unico biglietto integrato, hanno accolto il 21,3% del pubblico (11 milioni 693 mila visitatori con un introito complessivo di 82,9 milioni di euro).
Tra le regioni con il maggior numero di visitatori risultano il Lazio, la Campania e la Toscana, le quali da sole registrano l’83,6% del totale degli ingressi e oltre tre quarti (79,2%) dell’ammontare complessivo degli introiti ricavati da tutti gli istituti statali con la vendita dei biglietti. Anche se può apparire come un elenco di sole cifre, questo ci racconta quanto l’economia, soprattutto in alcune aree del paese, sia retta esclusivamente dai luoghi della cultura, o dall’indotto che ne deriva. Sempre l’Istat però certifica anche altro. E se da un lato dobbiamo apprendere l’ammontare delle perdite, dall’altro possiamo notare altri dettagli. Innanzitutto è utile notare come oltre che nei poli principali, il patrimonio statale è presente anche in altri 259 comuni distribuiti in tutta Italia.
Nella maggior parte dei casi si tratta di realtà piccole o molto piccole. Il 28,5% dei centri che ospitano una struttura museale statale ha infatti tra i 2 mila e i 10 mila abitanti, e la metà di questi centri si trovano in Campania, Lazio, Basilicata e Marche. Un altro dato rilevante è che i dati mensili dello scorso anno sul flusso di visitatori delle istituzioni museali statali mostrano che il picco degli ingressi si è manifestato nei mesi di marzo, aprile e maggio. Solo in questo trimestre – con 17 milioni 486 mila accessi, pari a circa 6 milioni di utenza al mese – le strutture statali hanno accolto quasi un terzo (31,9%) del pubblico complessivo del 2019. Questo andamento stagionale, che rappresenta una caratteristica ricorrente negli anni, interessa l’intero territorio nazionale.
Quando parliamo di destagionalizzazione si intende proprio ciò che i dati già registrano, almeno per quanto riguarda il turismo culturale. Ed è evidente come proprio i mesi del lockdown siano stati in passato quelli che hanno registrato le maggiori presenze. Basandosi sulla serie storica dei dati forniti dal Ministero è possibile stimare che per il 2020, in assenza di Covid19, si sarebbe potuto realizzare un incremento del numero di visitatori dei musei statali dell’8,1% rispetto al 2019 e un aumento degli introiti lordi del 12,8%. Per il 2020, infatti, si può stimare che il pubblico dei musei, dei monumenti e delle aree archeologiche a gestione statale sarebbe stato complessivamente di 59,2 milioni di visitatori, e che avrebbe permesso di realizzare entrate per oltre 273mln di euro.
A seguito della chiusura al pubblico necessaria per il contenimento del contagio da Covid-19, si stima invece che per i soli mesi di marzo, aprile e maggio di quest’anno il numero di mancati ingressi alle strutture statali sia stato pari a circa 19 milioni, con una perdita, in termini di mancati incassi, di circa 78 milioni di euro. Infine un altro dato che emerge dall’analisi condotta dall’Ista è che l’esperienza di lockdown vissuta dai primi di marzo, con la chiusura fisica di tutti i luoghi della cultura presenti sul territorio italiano, ha messo in evidenza la necessità di attuare e sviluppare modalità alternative di valorizzazione e di fruizione del patrimonio culturale da parte del pubblico e di ripensare al contributo che le tecnologie digitali possono fornire.
Rispondendo all’appello #iorestoacasa, la cultura non si ferma, molte istituzioni culturali statali hanno promosso iniziative per consentire ai cittadini di accedere in modalità online al patrimonio. Proprio su questo giornale abbiamo raccontato come anche il Parco Archeologico di Paestum e Velia abbia preso parte all’iniziativa ministeriale, mettendo a disposizione tour virtuali, collezioni online, iniziative digitali e social per coinvolgere il pubblico, anche se a distanza. Nonostante tutto complessivamente, il processo di digitalizzazione del patrimonio culturale e dei servizi erogati presenta ancora ampi margini di miglioramento nel nostro Paese. In base ai dati rilevati dal censimento Istat del 2018 solo l’11,5% dei musei e degli istituti similari statali ha effettuato la catalogazione digitale del proprio patrimonio.
Di questi, solo il 20,8% ha completato il processo di digitalizzazione, il 43,4% ha riversato in digitale circa la metà delle opere mentre il 35,8% ha digitalizzato meno della metà delle proprie collezioni. Nell’imminente futuro sarà necessario ripensare alcuni servizi e alcune attività solitamente offerte dalle strutture museali e cercare anche di ridurre l’eccessiva concentrazione del pubblico nelle stesse strutture, valorizzando anche le mete meno frequentate. Per ridistribuire il pubblico e ridurre il contatto fisico, nel rispetto delle misure di distanziamento sociale emanate dalle autorità, potrebbe risultare utile, ad esempio, potenziare il servizio di biglietteria online, attualmente offerto da meno di quattro musei statali su dieci (23,5%), che permetterebbe ai cittadini di prenotare in remoto la visita nonché di razionalizzare e gestire in modo più efficiente i flussi.
In prospettiva, nonostante l’allentamento delle restrizioni attualmente in vigore, è presumibile che saranno penalizzate soprattutto le attività e i servizi dei musei solitamente svolti onsite e che implicano una presenza fisica collettiva del pubblico. Insomma, se è vero che è nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie, cogliamo l’opportunità e riconsideriamo il nostro patrimonio culturale. Investiamo nelle bellezze del nostro passato, per progettare un prospero futuro.
©Riproduzione riservata