Endre Ady: poeta maledetto dalla vita, giornalista fortemente impegnato
| di Antonella CasaburiSe c’è un intellettuale mitteleuropeo che ha saputo amare la sua patria, pur criticandola aspramente; che in un difficile momento storico si è aperto alla cultura, alla politica e alla religione dell’ Europa Occidentale rimanendo ungherese; che ha raccolto l’eredità del più grande poeta del Risorgimento magiaro e ha creato la nuova, moderna letteratura ungherese; che è stato il più influente giornalista e il più acclamato poeta; … quello è Endre Ady.
Ungherese vissuto tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, Endre Ady possiede nella potenza delle sue parole una forza trascinante e indescrivibile. Ebbe una vita passionale, maledetta, intensa; e indubbiamente scandalosa. Fu un uomo maledetto dalla vita, ma fortemente impegnato a dare voce al suo popolo, fino all’ultimo dei suoi brevi giorni. Endre Ady fu colui che dal poeta – eroe risorgimentale Sándor Petöfi prese il testimone della grande lirica magiara e diede inizio alla letteratura ungherese del Novecento. Potentissimo giornalista politico e culturale, Ady fu il pilastro dell’ autorevole “Nyugat” (Occidente), la rivista che guardava all’ Occidente; in particolar modo alla Francia.
Nasce con sei dita per mano: a quel grave segno di malaugurio l’ostetrica rimedia mozzandogli le dita che erano di troppo, e per tutta la vita Endre Ady avrebbe mostrato con fierezza quelle cicatrici, segno sì di una maledizione, ma anche di un’ inarrivabile genialità. Nasce nel 1887 nella provincia transilvana, in una famiglia calvinista della nobiltà decaduta: una condizione beffarda a cui Endre Ady, che sente scorrere nelle vene l’orgogliosa eredità di un alto lignaggio, e che desidera conoscere la vita delle grande città, reagisce con fiera ribellione, scagliando il proprio tormento contro i suoi tempi; contro il potere; contro il suo stesso popolo. Ma i suoi primi dirompenti versi rivoluzionari non hanno ancora la forza e la maturità per emergere. Dovrà maturare; e soffrire. Lascia gli studi di Giurisprudenza affascinato dal giornalismo. Endre Ady è giovanissimo.
La sua carriera da giornalista è assai promettente, quella di poeta non lo è per nulla. I suoi amori giovanili, due attrici, lo condannano a morte: è in questo periodo che contrae la sifilide che pochi anni dopo lo ucciderà. Un viaggio a Parigi stravolge per sempre la sua vita, il suo pensiero e la sua arte: Ady, divenuto amico dei poeti maledetti e dei simbolisti, dall’impressionismo europeo trae il rinnovamento linguistico e poetico che traghetterà la letteratura ungherese nel nuovo secolo. La scoperta dell’Europa e dei suoi artisti si unisce, in Ady, al forte sentimento nazionale. È questa la grandezza di Ady: in lui il fascino dell’occidente progressista confluisce nel forte sentimento nazionale. Dal suo ‘canto nuovo’, quello delle poesie politiche che si scagliano con vigore contro il governo di Stefano Tisza, emerge lo spirito innovatore di un profeta dalle grandi vedute che nutre, disperato, l’amore per una Patria fustigata. Ma nessuno ascolta le trasparenti poesie simboliste del poeta della puszta magiara; ancora, nessuno l’ascolta. Come scrisse lo storiografo ungherese Giulio Szekfü: “il profeta che annunzia sventure non è caro a nessun popolo, ma non è caro soprattutto agli ungheresi che, alla fine del secolo, vivono nelle rosee illusioni: come tollerare che un poeta ungherese strappi il velo dei loro sogni e dei loro peccati e annunzi che ‘non so dove abbiamo perso la strada?’”. Scrive di sé Ady che in qualunque altro posto sarebbe divenuto un ‘sacro cantore’, invece lì, sotto i Carpazi, nella sua gelida e sterminata prateria , gli veniva chiesto di seppellire il suo canto; e di bestemmiare piuttosto, o fischiare.
Giornalista del “Nyugat”, il giornale che volge lo sguardo all’ Occidente, Endre Ady viaggia spesso come corrispondente a Parigi; ed è qui, a Parigi, che intreccia la sua relazione con la moglie di un ricco uomo d’affari. I tre viaggiano e si ritrovano spesso insieme. Lei è Adél: nelle liriche Endre Ady la chiamerà ‘Leda’. È una donna volitiva e spregiudicata: alta e sinuosa, provocatoriamente truccata, maliziosa in ogni suo gesto, con capelli azzurri a cui abbina scarpe e calze d’identico colore. Ady è un brillante giornalista e uno sconosciuto poeta. Con Adél al suo fianco diverrà uno fra i più celebri poeti mitteleuropei. L’amore per Adél – Leda però è funesto. Lei lo lascia per un nuovo amante. Lui si lascia andare, vagabondando tra alcol, locande e donne. E come la sua mente, anche il suo corpo è sempre più devastato dalla malattia. Sono gli anni di versi come “Vad szirttetőn állunk” (Sull’orlo di un precipizio selvaggio): straordinariamente profetici, tratteggiano la condizione di Ady: in bilico, a un passo dalla rovina. “Siamo in piedi, rigidi e dimenticati, sull’orlo di un precipizio selvaggio, l’uno all’altra legati; né lamento, lacrima o parola: per precipitare basta un fiato. Come carne e sangue assieme annodati ci proteggono le nostre labbra, blu ed esitanti, ci tengono legati. Finché mi baci non abbiamo parole, ma sussurra una parola e cadiamo entrambi”. Arriva per lui una breve ventata di stabilità; forse l’unica, di certo l’ultima. Berta Boncza, una giovanissima e ricca ammiratrice transilvana che gli scrive lettere struggenti lo riporta nella sua terra, la Transilvania. Innamorati, Endre e Berta e Berta si sposano in segreto, contro il volere della famiglia di lei. Con la giovane moglie Berta, Endre Ady trascorre i suoi ultimi anni nella serenità del Castello transilvano di Ciucea. I profetici scritti di quegli anni sembrano anticipare quanto di tragico sta per accadere: la Prima Guerra Mondiale. Circondato dall’affetto di amici e intellettuali, Endre Ady vivrà appena il tempo di vedere la fine della guerra e l’annessione della Transilvania alla Romania.
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