Esame di maturità durante il Coronavirus. La parola agli studenti, l’intervista a Benedetto Compagnone
| di Redazionedi Giangaetano Petrillo
La scuola, e con se l’istruzione, sono uno dei lati più critici di questa emergenza. Ne è emersa tutta la fragilità del sistema e tutta l’inadeguatezza alla digitalizzazione della didattica online. Molte sono le difficoltà, soprattutto per i tanti studenti che quest’anno si trovano a dover affrontare l’esame di Maturità in una situazione del tutto inedita e con un sistema scolastico già di per se obsoleto e retrogrado. Ne abbiamo parlato con Benedetto Compagnone, uno dei tanti maturandi, studente del Liceo Enrico Medi di Battipaglia. Qualche giorno fa in un suo post su Instagram, Benedetto ha denunciato la precarietà di questa situazione emergenziale e la necessità di una riforma che parta soprattutto da una diversa considerazione del percorso formativo dello studente. L’abbiamo contattato per farci raccontare il suo punto di vista, quello cioè di chi rappresenta il futuro della nostra società e che si trova ad affrontare la maturità durante un’emergenza pandemica.
Benedetto, fino a due mesi stavi per prepararti all’esame di stato, poi l’emergenza sanitaria da coronavirus ha sconquassato il programma. Raccontaci come hai vissuto quei primi momenti.
I primi giorni il problema è stato preso indubbiamente sotto gamba, sia da parte di noi alunni che dai docenti. All’inizio vi è stata semplicemente una pausa di 2-3 giorni per lasciare tempo alle istituzioni regionali e nazionali per decidere sul da farsi, ma molti in classe erano convinti si trattasse di un problema passeggero, la cui portata era stata forse troppo enfatizzata dai mass media. Ritornati a scuola l’inizio della settimana successiva, sembrava si fosse ristabilita la normalità, ma i numeri dal Nord Italia continuavano a crescere e la chiusura a tempo indeterminato delle scuole è stata inevitabile. Eppure, nonostante il clima di instabilità credevamo in fondo che il ritorno sarebbe stato relativamente vicino, nel peggiore dei casi a inizio aprile, forse incoscienti della reale gravità e pericolosità dell’accaduto per via della novità di una situazione del genere, mai vissuta neanche dai nostri compagni di scuola più maturi, i professori, con cui abbiamo condiviso l’insicurezza organizzativa dei giorni seguenti. Nelle nostre vite la scuola è sempre stata una certezza e parte dell’ordinarietà delle nostre giornate, e vederla venir meno ha sicuramente sconvolto quanto di più certo avevamo nelle nostre esperienze quotidiane. Ciò pesa ancora di più su noi maturandi, se pensiamo che il periodo pre-esame sarebbe stato una parte essenziale della nostra esperienza scolastica, la prova più dura del nostro percorso durato 5 anni.
In un tuo post su Instagram, di qualche giorno fa, criticavi molto duramente questa situazione che non fa altro che destare più ansie in voi maturandi.
In queste settimane è emerso che l’incertezza organizzativa di cui parlavo nella risposta precedente non riguarda solo i professori e noi alunni, ma anche molti fra gli addetti alla gestione dell’istruzione nel nostro Paese, membri di un ministero che ha saputo dare ai suoi diretti interessati risposte inefficienti e criptiche in merito al futuro della scuola italiana nel periodo durante e post Covid-19. Questo enigma scolastico ha visto come vittime soprattutto i ragazzi prossimi alla maturità, a cui sono state date poche indicazioni sull’esame da svolgere, che inevitabilmente sarà diverso rispetto agli scorsi anni. Usiamo la DAD come tappabuchi all’assenza fisica in classe, ma per la preparazione a un esame del genere è essenziale soprattutto un confronto diretto fra alunno e docente, di cui siamo in gran parte privi anche per via dell’inesperienza di entrambi nell’attuazione di tale esperimento didattico. Ma portali online a parte, la più grande differenza rispetto agli scorsi anni è che uno studente della stagione scolastica 2019/2020 non può riconoscere come guida per la preparazione al suo esame neanche i suoi stessi professori, anch’essi ignari delle dinamiche che l’esame assumerà questo giugno. L’unico cambiamento certo confermato per avvicinarsi alle esigenze di noi alunni è la presenza di una commissione tutta interna, ma se questo esame deve essere meritocratico e serio, allora allo studente dovrebbe importar poco di chi avrà di fronte alla fine del suo percorso. Ad essere stato confermato per prima è dunque un dettaglio dell’esame che non ha la stessa priorità rispetto a ciò che interessa veramente al maturando, ovvero notizie in merito alla modalità che assumerà, soprattutto se esso avrà forma totalmente orale o meno. Siamo alle porte di maggio e l’indecisione da parte del MIUR genera instabilità e confusione nello studente, che si trova allo sbando in un’emergenza che deve affrontare senza linee guida.
Riassumendo il tuo post, sostieni che l’esame sia un paradosso. Dover valutare in pochi minuti un percorso di studi che in realtà è durato cinque anni.
Non tutto il male viene per nuocere, e dopo quest’emergenza il MIUR sembra essersene accorto. Sono tornati infatti ad essere discussi nel dibattito pubblico scolastico tematiche scottanti quali le classi-pollaio e l’inefficienza di gran parte della classe docente nello stare al passo coi tempi tramite l’uso di nuovi strumenti. Ma ciò che in questo periodo ha generato più spunti di riflessione sono state le modalità e l’importanza che l’Esame di Stato assume nei riguardi degli studenti della Scuola Secondaria, rivelatasi agli occhi di molti come un’istituzione debole, obsoleta e inutilmente stressante, che riguarda l’alunno solo dal punto di vista puramente formativo, come rivela stesso il suo secondo nome di Maturità. Quest’ultima però è determinata da una serie di fattori che di certo non definiscono nel giro di poche settimane la validità morale e intellettuale di uno studente, il cui risultato viene esposto alla fine del percorso tramite una tabella che certifica pubblicamente i punteggi dei vari alunni come in una malsana competizione che vede in questa sorta di classifica finale l’apice della sua stranezza e discutibile validità, tenendo poco conto del fatto che un alunno sia già stato protagonista negli anni passati di un intero percorso di 5 anni ancor più didatticamente coinvolgente, in cui più e più volte esso ha potuto dar prova delle sue abilità. L’esame non dovrebbe essere una pesante prova esterna al percorso scolastico atta a definire chi siamo, ma dovrebbe puntare al consolidamento di quanto appreso e aiutarci al nostro futuro slancio nel contesto universitario e lavorativo. Al quinto anno la validità scolastica di un alunno è già nota e di certo essa non cambia neanche di fronte a membri provenienti da ambienti esterni, che non possono pregiudicare in un semplice colloquio quanto fatto prima. Tuttavia forse non è neanche l’Esame di Stato il problema, quanto l’atmosfera che si genera attorno ad esso, inculcatoci fin da piccoli come una pesante condanna da scontare ai 18 anni, secondo una tradizione formativa didattica malata alle sue radici. Ma al di là di queste mie soggettive considerazioni sull’esame in sè, che possono essere condivise o meno, sono certo che fra i lettori la gran parte sia convinta della grande ambiguità e del contro senso che la prova assume soprattutto in questa stagione scolastica, in cui, come annunciato, la prova vedrà nella sua totalità commissari interni, vale a dire gli stessi professori che in questi ultimi anni hanno avuto meglio di tutti la possibilità di conoscerci. Come può un esame di Stato essere serio, se esso viene semplificato fino ai massimi termini con un orale che dovrebbe essere a tal punto solo una formalità? E nonostante ciò, per tale scelta del solo orale non mi va di condannare neanche lo stesso MIUR, che non può provvedere a soluzioni più tradizionali come l’inclusione degli scritti, che normalmente si sarebbero basati proprio su quegli argomenti trattati negli ultimi mesi di quinta. Tornare a scuola per recuperarli al meglio in aula le ultime due settimane sarebbe inutile, anche con i doppi turni. A differenza di quanto affermato dal popolare hashtag lanciato dal Ministro Azzolina, la scuola si è fermata, e con essa anche l’intenzione di andare avanti con un Esame di Stato serio e in piena regola. Eppure, nonostante ciò, la sopravvivenza della Maturità viene messa davanti a quella degli stessi alunni.
Come vivete l’esperimento della didattica a distanza? In altri paesi è una realtà, più che un esperimento.
Nonostante l’indecisione in altre aree, il MIUR sta provvedendo in maniera considerevole a far diventare la didattica a distanza la norma nella vita dello studente in quarantena. Ma credere che la DAD stia svolgendo appieno il suo dovere dopo solo un mese e mezzo di introduzione e di funzionamento vuol dire non conoscere la realtà dei fatti, per diversi motivi. I problemi relativi alle connessioni Internet in Italia sono noti a tutti, ma questa è solo la punta dell’iceberg. Nonostante il grande impegno messo in atto dai professori, che forse risultano anche più stressati degli stessi studenti da questa situazione, la stragrande maggioranza di essi si ritrova in grande difficoltà nell’interazione con gli alunni tramite strumenti tecnologici moderni, anche e soprattutto per ragioni anagrafiche. Per non parlare del fatto che le ore a loro disposizione per le lezioni online sono di meno rispetto a quelle di cui potevano servirsi in classe e tenersi a contatto costantemente con gli alunni è ancora più difficile, spingendo dunque gli stessi professori ad esigere da questi ultimi attenzioni e prestazioni ancora maggiori di quelle richieste in aula, acuendo la pesantezza didattica già insita prima dell’emergenza nel sistema scolastico italiano. Il grande errore del ministero in tale ambito è stato considerare fin da subito la DAD una certezza e non un esperimento. Se in altri paesi la didattica online ha funzionato meglio è perché in esse molto probabilmente già si era sviluppata negli scorsi anni una coscienza comune fra alunno e professori dell’importanza dell’apprendimento multimediale, che in tempi moderni va alternato inevitabilmente con la più tradizionale lezione in classe, rispettando le esigenze di un sistema scolastico che necessita di evolversi.
Quali possono essere dei suggerimenti da proporre per riformare l’istituzione scolastica?
La scuola italiana conserva evidentemente le ragnatele di un sistema troppo vecchio, le cui fondamenta risalgono addirittura al periodo fascista, con la riforma Gentile, il quale poco meno di un secolo fa definì un tipo di scuola molto simile a quella di oggi. L’istituzione scolastica italiana è quella più completa, con la nozionistica imperante che la caratterizza la rende una delle scuole più formative di tutta Europa, ma a quale prezzo? Soprattutto per quanto riguarda i licei, c’è poco orientamento per quanto riguarda le decisioni future che dovranno prendere gli studenti per il loro percorso universitario e lavorativo e si cerca di rattoppare la carente formazione educativa delle medie con un tipo di apprendimento universale per cercare di indirizzarli, il quale però scarica sugli studenti un fardello che li costringe a fare inutilmente il doppio della fatica e a dedicare alla scuola un tempo che va a toccare anche la maggior parte della loro sfera privata, che dovrebbe invece essere finalizzata alla crescita della loro attitudine verso il campo per cui sono maggiormente portati. Questa pesantezza tende anche a scoraggiare lo stesso alunno, vittima di un sistema che si limita solo ad istruirlo e a verificare le sue conoscenze, ma non a guidarlo verso la scelta del suo futuro, lasciando ai giovani, che necessitano indicazioni essenziali per il prosieguo del loro cammino, il fardello della scelta, che spesso per paura di fallire non prendono nemmeno. La scuola ha problemi alle sue radici che hanno origine da molto lontano e che l’emergenza ha contribuito a rendere ancora più visibili.
Si parla di un possibile ritorno direttamente a Settembre. Tu inizierai, molto probabilmente, un percorso universitario. Da studente valuti positivamente un’integrazione tra lezioni in aula e didattica online?
La DAD online può funzionare anche dopo l’emergenza solo con un’adeguata alternanza di essa con la lezione in aula, che nel nostro sistema scolastico ha invece la priorità. Come detto anche prima in gran parte, la scuola non può cambiare e adeguarsi ai tempi divenendo più fluida se non si riflette sui difetti di ciò che sta tradizionalmente alla base di essa. Il lavoro dello studente si svolge, inoltre, a differenza di quanto avviene in altri Paesi, per la maggior parte a casa, dove allo studente vengono assegnati compiti che lo caricano di una fatica che non gli permette di guardare oltre l’orizzonte scolastico, in un contesto che costringe noi ragazzi a pensare più ai doveri del presente che ai sogni del futuro. La didattica online, una volta raggiunte condizioni normali, verrà molto probabilmente subito abbandonata perché essa non può coesistere con il nostro modo di intendere la scuola, poco aperta a innovazioni. Per la scuola non serve un cambio di marcia, ma una radicale rivoluzione.
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