Film Hammamet su Craxi, sfiorata la caricatura. Il suo fantasma è un’ossessione
| di Maurizio Troccolidi Maurizio Troccoli
Se la domanda, all’uscita del cinema, fosse: ti è piaciuto il film su Craxi? La risposta sarebbe no. Ma sarebbe così lapidaria, da non farti dire, ad esempio, che se dovessi scegliere tra l’averlo visto oppure no, preferirei averlo visto. Quindi, se pur dovuta, una risposta netta, è ovvio che non dà spazio alla spiegazione. Eccola: il film, opportunamente titolato Hammamet, è un racconto sugli anni di Bettino Craxi nel suo esilio in Tunisia. Esilio per alcuni, per chi lo vede cioè vittima di una persecuzione giudiziaria, inquadrandolo come rifugiato politico. O tana per chi invece lo vuole in fuga dalla legge, dai processi. Mentre per lo stesso Craxi, la sua vicenda, disvela l’antica lotta tra legge e giustizia. E quindi un Paese proteso a perseguire la legge, ottenendo ingiustizia. Craxi provò a convincere tutti del fatto che, essendo i partiti, nessuno escluso, coinvolti nel finanziamento illecito, si sarebbe dovuto cambiare il ‘sistema’, politicamente. Ma la vicenda craxiana, e cioè l’ipotesi che la sinistra, in Italia, potesse sperimentare una opzione pragmatica e riformista, da offrire come alternativa a quella ideologica, è una questione che il film non tratta.
Tratta invece il personaggio, la sua libertà ‘equivalente alla sua vita’, come riporta il suo epitaffio. Sarà per questa ragione che, a chi è appassionato di politica, un film di questa natura, potrebbe lasciare l’amaro in bocca. D’altronde la figura di Craxi non affascina, i più, per l’incombenza fisica, il carattere arrogante, l’ego smisurato o l’intelligenza acuta. Incuriosisce, invece, per la visione. E la conseguente azione. Spiazzante, moderna, imprevedibile, post ideologica. E, probabilmente, anche pruriginosa per una ‘sinistra proletaria’, poco salottiera, moralmente intransigente. In questo film invece, il personaggio carica le scene della sua statura. La sua fisicità sembra soddisfarne persino la trama. Fino a una esasperata aderenza tra l’attore e la figura. Si sfiora la caricatura, come anche il compiacimento dell’imitazione: dalla postura, alla voce, al trucco. Perfetta quella camminata zoppicante, impressionante il timbro cadenzato sulle ultime vocali e poi la schiena sbilenca e i radi e fini capelli che svolazzano sulla testa calva. O ancora le dita profuse di sbiego, il labbro imbottito, le orecchie rincicciate e i piedi da elefante.
Tutto somigliante al punto da renderne visibile la manipolazione, come le sbavature nelle narici per via del ritocco, o le piegature nel lobo dell’orecchio per l’incollatura della maschera. Si potrebbe sintetizzare: film omaggio all’attore e al parrucco. Tenuto conto che persino ‘la storia’ ne viene piegata. Là dove la malattia sembra avere il sopravvento sulla sciagura politica ed esistenziale. Senza però riuscirci, probabilmente per l’ingombro che il ‘fantasma Craxi’ imprime nella storia, come nella coscienza di questo Paese.
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