«Franco Alfieri aveva uno schema preciso per eludere le intercettazioni»

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«Franco Alfieri aveva uno schema preciso per eludere le intercettazioni»

Un piano metodico, quasi un protocollo per gestire questioni particolarmente “delicate”. È questo il quadro che emerge dalle motivazioni del tribunale del Riesame in merito all’inchiesta che coinvolge Franco Alfieri, figura di rilievo del Partito Democratico in provincia di Salerno, ex presidente della Provincia e sindaco di Capaccio Paestum. Le conclusioni del Riesame hanno consentito all’ex amministratore di tornare a casa, dopo un mese di detenzione nel carcere di Fuorni, grazie a una parziale riduzione della misura cautelare. Questa decisione è giunta in seguito all’istanza presentata dai suoi legali, dopo l’arresto avvenuto per la prima fase di un’indagine che ruota attorno ad appalti e intrecci d’affari.

Le oltre cento pagine di motivazioni stilate dal tribunale della libertà ricostruiscono in dettaglio lo “Schema Alfieri”, una strategia usata sistematicamente dal politico per discutere di argomenti riservati, eludendo strumenti di comunicazione tracciabili. Questo modus operandi, documentato nelle intercettazioni ambientali e telefoniche, è stato ritenuto sufficiente dai giudici per respingere le istanze della difesa, che aveva contestato l’utilizzabilità delle captazioni.

Gli incontri riservati: un’abitudine consolidata

Una delle prime evidenze citate nel lungo decreto del tribunale risale a un’informativa del luglio 2023. In quel documento si legge che Alfieri è solito incontrare i suoi interlocutori in un bar situato in contrada Marotta, ad Agropoli. Qui, giunto a bordo della sua automobile, discute di richieste di favori avanzate da terzi, lontano da orecchie indiscrete. Questo elemento ha convinto gli inquirenti della necessità di ricorrere a intercettazioni per monitorare tali incontri.

Anche nei suoi uffici istituzionali, ubicati presso il Comune di Capaccio Paestum e il palazzo della Provincia, Alfieri pare adottare un approccio analogo. Le indagini rivelano come l’indagato eviti deliberatamente di affrontare questioni sensibili in pubblico o al telefono. Un episodio emblematico è riportato nelle intercettazioni: Alfieri, prima di entrare nell’ufficio provinciale, suggerisce di lasciare i cellulari in macchina, affermando che “si dovrà parlare di cose delicate”.

Il coinvolgimento di Vincenzo De Luca

Tra le conversazioni intercettate spicca quella con Vincenzo De Luca, governatore della Campania. Stando a quanto riportato dai giudici, De Luca avrebbe inviato ad Alfieri un documento in busta chiusa, esortandolo a prendere decisioni in merito a contenuti definiti “estremamente chiari”. Questo scambio è stato interpretato dagli inquirenti come ulteriore prova dell’attenzione di Alfieri per la riservatezza, elemento chiave dello “Schema”.

Una strategia che diventa elemento d’indagine

Il Riesame ha sottolineato come questo comportamento sistematico confermi la volontà di Alfieri di mantenere una stretta segretezza su determinate tematiche. Tale approccio, delineato nelle motivazioni, ha giustificato l’autorizzazione a intercettazioni estese, nonostante le obiezioni dei legali difensori.

L’inchiesta su Alfieri si inserisce in un contesto più ampio di verifiche su appalti e gestione della cosa pubblica in provincia di Salerno. Resta da chiarire se le accuse mosse contro il politico porteranno a ulteriori sviluppi giudiziari o se il “metodo Alfieri” rappresenterà solo uno degli elementi di un quadro investigativo complesso.

La vicenda non solo solleva interrogativi sulla trasparenza amministrativa, ma accende anche i riflettori sul ruolo delle intercettazioni nelle indagini, alimentando il dibattito su strumenti e limiti della giustizia nell’era digitale.

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