Frodi sui carburanti con infiltrazione dei clan tra Campania e Puglia: arresti nel Vallo di Diano
| di RedazioneUna «vera e propria miniera di oro nero» sull’asse Campania-Puglia, con «rilevantissimi profitti» per i clan che hanno raggiunto i 30 milioni all’anno: sono due degli aspetti principali dell’inchiesta sulle frodi nel commercio dei carburanti delle direzioni distrettuali antimafia di Potenza e Lecce che, stamani, hanno portato in carcere 26 persone, undici ai domiciliari, oltre alla notifica di sei divieti di dimora.
Nelle prime ore di questa mattina, nelle province di Salerno, Napoli, Avellino, Caserta, Cosenza e Taranto, i comandi provinciali dei carabinieri e della guardia di finanza di Salerno e del nucleo di polizia economico finanziaria di Taranto, su delega delle Dda di Potenza e Lecce, hanno dato ordine di 45 misure cautelari personali (26 in carcere, 11 agli arresti domiciliari, 6 destinatari di divieto di dimora e due misure interdittive della sospensione dall’esercizio delle rispettive funzioni di due carabinieri per la durata di sei mesi) nei confronti di altrettanti 45 indagati indiziati di associazione mafiosa, associazione a delinquere finalizzata alla commissione di frodi in materia di accise e Iva sugli olii minerali, intestazione fittizia di beni e società, riciclaggio, autoriciclaggio e impiego di denaro di provenienza illecita. Sequestrati anche immobili, aziende, depositi e flotte di auto-articolati per un valore di 50 milioni di euro.
Le indagini hanno fatto emergere distinte ma collegate organizzazioni criminali operanti tra Lecce, Potenza e il Vallo di Diano, oltre che a Taranto, ruotanti intorno a importanti famiglie mafiose, riconducibili ai clan dei casalesi e ai clan dei mafiosi tarantini, il cui business era rappresentato da un contrabbando di idrocarburi che ha cagionato allo Stato danni economici per decine di milioni di euro, a cui ha corrisposto un eguale guadagno per i sodalizi.
Il filone investigativo che ha riguardato la provincia di Taranto ha fatto emergere l’esistenza di una associazione di stampo mafioso risorta dalle ceneri di altri sodalizi neutralizzati da precedenti attività investigative che si è ricompattata attorno alla figura di Michele Cicala giù condannato con sentenze definitive per estorsione aggravata dal metodo mafioso e associazione per delinquere con legami con componenti del clan tarantino Catapano _ leone.
Le indagini hanno accertato che i tarantini si alleassero con l’altro gruppo criminale operante nel Vallo di Diano, proprio nel settore del contrabbando di carburanti. In sostanza venivano vendute ingentissime quantità di carburante per uso agricolo, che come noto beneficia di particolari agevolazioni fiscali, a soggetti che poi lo immettevano nel normale mercato per autotrazione, assai spesso utilizzando le “pompe bianche”.
Nel Vallo di Diano l’attività investigativa è partita da una delega nel 2018 alla polizia giudiziaria di procedere a un’analisi ad ampio spettro sul territorio allo scopo di individuare operatori commerciali prestatisi come terminale occulto per il reinvestimento di capitali illeciti da parte di sodalizi criminali esogeni. L’attenzione è stata subito concentrata sulla posizione di una società di San Rufo che – secondo le indagini – palesava una serie di profili di incongruità quali l’inspiegabile aumento esponenziale dei fatturati e degli investimenti nel giro di pochi anni. Emergeva così dalle indagini che il rilevantissimo boom economico della ditta coincideva con l’ingresso nelle compagini societarie dei componenti della nota famiglia casertana dei Diana, i cui componenti avevano investito nell’impresa in forma occulta, capitali provenienti da pregresse attività illecite, specie nel settore del traffico dei rifiuti.
Nel corso della conferenza stampa sull’operazione “La febbre dell’oro nero”, che si è tenuta nel Palazzo di giustizia del capoluogo lucano, il procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero De Raho, in videocollegamento, ha evidenziato che “l’infiltrazione mafiosa nel settore della commercializzazione degli idrocarburi è uno degli aspetti più significativi dell’evoluzione dei gruppi criminali”.
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