Gabbie in mare a Camerota, sindaco accoglie petizione: «Se popolazione soffre, facciamo passo indietro»
| di Marianna Vallone«Se la popolazione soffre all’idea di una iniziativa del genere, che può essere buona o meno, noi come rappresentati di quella popolazione, dobbiamo fare un passo indietro e lo facciamo con umiltà e trasparenza». A dirlo è Antonio Romano, sindaco di Camerota in una intervista su CilentoTv all’indomani delle polemiche per l’installazione di 16 gabbie per l’allevamento nelle acque di Marina di Camerota. Polemiche che avevano spinto alcuni consiglieri comunali di opposizione contrati all’iniziativa, a lanciare una raccolta firme cartacea e online per fermare «lo scempio che l’amministrazione ha voluto firmando le carte per la realizzazione dell’impianto di itticoltura».
A fine novembre il Comune di Camerota ha formalizzato la «presa d’atto» di una richiesta di concessione demaniale marittima finalizzata all’installazione di 16 gabbie galleggianti off shore inoltrata da una società di diritto privato a responsabilità limitata. Un progetto che prevedeva 2 moduli da 8 gabbie ciascuno, «al fine di iniziare la produzione ittica ed incrementare la produttività» dell’azienda richiedente. All’indomani delle polemiche l’amministrazione Romano ha però deciso di fare un passo indietro revocando il provvedimento ed esprimendo – in quello di revoca – parere negativo ad interventi di acquacoltura nel territorio comunale. «Sono i cittadini a chiederlo, i nostri amici – aggiunge il sindaco – e noi facciamo un passo indietro sicuri di aver fatto il nostro dovere e di non esserci preclusi a monte una possibilità di occupazione e reddito».
Operatori turistici, ambientalisti e cittadini hanno manifestato subito il dissenso al progetto di ‘Riservazzurra srl’ , società con sede a Camerota, che avrebbe dovuto prevedere l’installazione di 16 gabbie a largo delle coste di Camerota, per l’allevamento di spigole e orare. Il Comune lo scorso 28 novembre ha dato parere favorevole, ma per concretizzarsi, all’ok del Comune doveva seguire quello del ministero delle Politiche agricole con «uno studio di fattibilità ambientale».
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