Gelbison: domenica la velatura della statua, una recente ricerca di Luigi Vecchio accende il dibattito sull’origine del nome
| di Tullia ConteDomenica 13, il Santuario dedicato alla Madonna di Novi, situato sulla vetta del monte Gelbison, chiuderà le sue porte. La nicchia che ospita la statua sarà sigillata fino alla riapertura prevista per maggio. Fino al 1924, le attività del Santuario si interrompevano a novembre, ma quell’anno l’allora rettore, don Luca Petraglia, chiese alla Curia di poter anticipare la chiusura alla seconda domenica di ottobre. Le avverse condizioni meteorologiche scoraggiavano le visite nel mese di novembre, e la tradizione si adattò così alle necessità climatiche.
Una delle leggende più antiche legate a questo sito, tramandata proprio grazie a don Luca, narra che nel 1676 il monaco Cornelio da Loanio, afflitto da numerose piaghe, si ritirò in eremitaggio per servire la Vergine. Durante un sogno, la Madonna gli rivelò: “Vade labare mundaberis” (Vai, sarai purificato), indicandogli la sorgente, oggi conosciuta come “fontana della Madonna”. Al risveglio, il monaco scoprì la fonte, si lavò nelle sue acque e ne ricevette la guarigione. Il prodigio si ripeté quasi cinquant’anni dopo con un altro malato.
La storia del Santuario è antica e, data la sua posizione a 1.705 metri sul livello del mare, ha affrontato sfide significative ed è sopravvissuto al corso dei secoli, diventando un simbolo di appartenenza culturale. Il patrimonio storico del Gelbison si intreccia con il dibattito sull’origine del suo nome, un tema di grande interesse per studiosi e appassionati. Il monte è citato in documenti storici come “Monte di Novi” e “Montagna di Santa Maria del Monte”, mentre “Gelbison” emerge solo nel XVII secolo, comunemente associato all’arabo Jabal al-Sanam, “montagna dell’idolo”.
Luigi Vecchio, archeologo cilentano e docente presso l’Università di Fisciano, ha elaborato una nuova teoria riguardo all’origine dell’oronimo, manifestando scetticismo verso l’ipotesi araba. Secondo Vecchio, gli attacchi saraceni a Punta Licosa e Agropoli, avvenuti nel IX secolo, non forniscono elementi sufficienti a supportare una simile influenza linguistica.
L’archeologo offre una nuova chiave di lettura, suggerendo un possibile legame con il termine tedesco Gelbeisen, che si riferisce a rocce ferrose di tonalità giallo-rossastra. Le pendici sud- occidentali del Gelbison, storicamente ricche di minerali ferrosi, sono state oggetto di sfruttamento, come dimostrano le ferriere, tra cui quella del feudo di Novi, già attiva nel 1563. È plausibile che il termine “Gelbeisen” sia stato introdotto da artigiani liguri attivi nella zona fin dal XVI secolo.
[L’intervista completa, su La Città a questo link ]
Il dibattito sull’origine dell’oronimo offre un’importante opportunità per una riflessione più ampia sulla storia e sulla cultura del Cilento. Il monte, infatti, è intrinsecamente legato al suo patrimonio storico, ed è fondamentale accogliere i pareri della comunità scientifica. Questa visione, finora sottovalutata nella lunga storia del Santuario, rappresenta una preziosa occasione per restituire al Gelbison l’importanza che merita, onorando così la sua eredità storica e culturale.
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