Hammamet, l’intervista a Enzo Maraio: «Raccontato il dato umano di Craxi»
| di Giangaetano Petrillodi Giangaetano Petrillo
Dopo l’uscita del film Hammamet, la nostra redazione ha sentito Enzo Maraio, segretario nazionale del Partito Socialista Italiano: «L’eredità di Craxi? Voglio riassumerla in due parole: il coraggio e la visione». Di seguito l’intervista.
Segretario Maraio, il film Hammamet sugli ultimi anni di vita del presidente Craxi ha diviso molto l’opinione pubblica. Come se lo spiega a distanza ormai di 20 anni?
Io sono tra coloro che hanno apprezzato il film di Gianni Amelio. Mi ha molto colpito, soprattutto sul piano emotivo. Chi si aspettava un docu-film o un ritratto storico degli anni di Craxi ad Hammamet, non poteva che rimanere deluso. Il regista è riuscito invece in un’operazione difficilissima, quella di raccontare il dato umano di un grande leader del novecento finito in esilio. Gli umori, il malessere, la statura. La fase complicata dell’ultima parte della vita che gli si è posta con molta irruenza. Ho provato a vedere il film con un altro punto di osservazione e ne ho tratto che, nonostante il vuoto dell’ultimo ventennio, il film ha riaperto un dibattito politico. E questo è un bel segnale. E un bel regalo.
È stata una delle stagioni riformiste più importanti d’italia. Quali sono i ritardi che ancora ci portiamo dietro?
I ritardi sono evidenti. Primo fra tutto, il fatto che si faccia ancora fatica, ancora oggi, a riconoscere a Craxi il merito della leadership del tempo: le scelte, le riforme, le decisioni che hanno apportato progresso nel Paese. Mentre la sinistra berligueriana aveva ancora il mito del leninismo, Craxi si batteva per una sinistra riformista e socialista. La storia ha dato ragione a noi. Gli eredi del Pci di allora, no. Faccia un po’ lei.
Quali, invece, i successi raggiunti?
L’Italia era la quinta potenza industriale mondiale, oggi scivoliamo verso il decimo posto. Negli anni di Craxi il nostro Pil era simile a quello di Francia e Germania, oggi il Paese ha perso una parte consistente della sua forza produttiva. Anche chi non conosce questi dati, oggi avverte il declino.
Come i grandi protagonisti della politica italiana, anche Craxi ha diviso fortemente l’opinione pubblica italiana. È giusto secondo Lei, dire che il personalismo politico incominci con Lui?
Trovo che sia una affermazione incoerente con la storia del novecento italiano, che è stata teatro di ben altri personalismi. Piuttosto con Craxi inizia una stagione che il paese non aveva ancora mai conosciuto sul piano istituzionale: il decisionismo politico, il protagonismo dell’Italia nel confronto con il resto del mondo, la spinta del progresso. E sul piano politico, la difesa dell’autonomismo socialista e l’anticomunismo che partiva dall’intuizione che una sinistra fosse possibile soltanto se riformista.
Quanto è cambiata anche la politca estera italiana, da Sigonella alla quasi irrilevanza della politica italiana di oggi nelle crisi in medio-oriente e in Libia?
La risposta è contenuta nella sua domanda: la politica estera italiana oggi sfiora l’irrilevanza. Vede, Craxi aveva una naturale propensione a cogliere le pulsioni che hanno attraversato la società del suo tempo. Aveva, con sconvolgente lungimiranza, compreso anzitempo le opportunità ma anche le complessità dell’Europa, stigmatizzando i limiti della sua costruzione così come della ‘imperfetta’ nascita dell’euro. Già trent’anni fa aveva compreso che bisognava rinegoziare i parametri di Maastricht, segnalando tempestivamente che c’era il rischio che si potessero presentare fratture e inaccettabili scompensi sociali. Una profezia. Oggi ci troviamo in un paese più fragile e indebolito.
È inevitabile parlare di Tangentopoli e di quanto successo dopo questa inchiesta. È indubbio l’illegittimità e l’illegalità del metodo del finanziamento ai partiti, ma in molti sono tutt’oggi ad avere dubbi sulla genuinità di quell’inchiesta. Cosa ne pensa?
Quell’inchiesta rappresenta ancora oggi una ferita per la democrazia italiana. Come si fa a non annuire di fronte a chi l’ha definita ‘golpe giudiziario’? Tutta la prima Repubblica, i partiti e la politica stessa sono stati spazzati via con un colpo di spugna. E quando un giudice utilizza un caso giudiziario per fare politica, come è accaduto, non è certo rappresentazione di un sistema pulito e terzo.
È stato il primo, e tutt’oggi unico, presidente del consiglio socialista. Successivamente il partito ha subito una scossa violenta, ed oggi sta riemergendo non senza difficoltà anche grazie al suo attivismo. Quanto sente ancora necessario lo spirito del riformismo socialista per la politica italiana ed europea?
A pochi mesi dalla mia elezione a segretario, ho voluto dopo poche settimane proporre al partito un restyling del simbolo. Tornare al garofano, per me, ha avuto un significato politico molto importante, al netto della nostalgia, che è un sentimento che lasciamo ad altri. Tornare cioè ai valori della sinistra riformista – lavoro, inclusione, solidarietà – è il punto di partenza per poter crescere e tornare ad essere un grande partito socialista. Con non poche difficoltà, ma ce la stiamo mettendo tutta.
Qual è l’eredità che ci lascia un presidente come Craxi?
E’ così grande che avremmo bisogno di ore ed ore per parlarne. Voglio riassumerla in due parole: il coraggio e la visione.
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