I monaci basiliani nel Cilento
| di Redazionedi Giangaetano Petrillo
Pro Remedio animae – Il Cilento tra basiliani e benedettini. Così un tempo nel territorio del Cilento, del Vallo di Diano e degli Alburni, alcuni signori della nobiltà longobarda amavano accrescere, con ingenti elargizioni, il patrimonio dei luoghi di culto. Non bisogna dimenticare, infatti, che nel Medioevo la religione permeava completamente la società ed il fine ultimo degli uomini del tempo era raggiungere con tutti i mezzi la salvezza eterna. Anche i nobili avevano l’esigenza di salvare l’anima o, forse, ne avevano più bisogno degli altri. Per questo motivo contribuivano con generose donazioni che gli consentivano di accrescere anche il loro prestigio presso la popolazione e legittimavano così il loro potere nel controllo e nella gestione di questi territori. Spesso i monasteri sorsero in aree depresse e poco antropizzate con l’obiettivo principale di attrarre nelle campagne immigrati in cerca di lavoro, cosa che avrebbe poi consentito la nascita di piccole comunità. Questo elemento che ha fortemente caratterizzato l’antropizzazione dei nostri territori, determinando quella che noi oggi conosciamo come civiltà contadina che ha le radici proprio in questi secoli, dovrebbe indurci a riflettere molto attentamente sulle sfide importanti che stanno caratterizzando la nostra epoca. Ma ritornando al racconto storico c’è da dire che d’altra parte, in un’epoca sicuramente molto difficile come fu il lungo periodo di transizione dal mondo tardo-antico al medioevo, molte città vennero abbandonate o sparirono del tutto e si popolarono le campagne dove, intorno ai cenobi, sorsero delle piccole comunità alle quali i monaci – basiliani o benedettini – fornirono non solo assistenza spirituale ma anche protezione materiale. Dopo la guerra greco-gotica l’Italia meridionale era passata sotto il dominio di Bisanzio ma, con l’arrivo dei Longobardi, all’Impero d’Oriente erano rimaste solo la Calabria meridionale e il Salento. Se in queste regioni la diffusione della cultura greca va individuata nel dominio diretto dei Bizantini e meno nell’azione dei monaci basiliani, nella Lucania, rimasta sempre longobarda fino alla conquista normanna, le ragioni della diffusione della cultura greca vanno cercate proprio nell’azione svolta dai monaci greci, arrivati numerosi nel corso del VIII secolo per sfuggire alle persecuzioni iconoclastiche. È altrettanto probabile, comunque, che già ai tempi della guerra greco-gotica monaci greci venuti in Italia al seguito dei generali Belisario e Narsete si siano stabiliti in Italia meridionale insieme ad altri connazionali. Alla fine del VI secolo altri ne arrivarono a causa dell’invasione della Grecia da parte degli Avari. Questi monaci arrivarono in gran numero proprio nel territorio dell’attuale Cilento, perché non poterono dirigersi nei territori italiani governati direttamente da Bisanzio, in quanto anche lì vigevano le leggi che perseguivano duramente le venerazione delle icone. Anzi, proprio per gli stessi motivi anche i monaci basiliani residenti nei territori italiani governati da Bisanzio, furono costretti a fuggire verso i territori longobardi per porsi al riparo dalle persecuzioni. Questo territorio, governato allora dai Longobardi, divenne meta desiderata e luogo di rifugio sicuro sia per i monaci asceti in fuga dall’Oriente che per quelli provenienti dalle vicine terre della Calabria, d’Otranto e della Sicilia. Il fattore, dunque, più importante della penetrazione della cultura greca nel Cilento, va individuato proprio nel monachesimo basiliano, che contribuì all’incremento demografico dell’area. Ed è proprio questo l’aspetto che vorremmo prendere in considerazione in quest’articolo. Perché, come accennato anche in qualche articolo precedente, è alla presenza dei monaci basiliani prima, e insieme ai benedettini poi, che sembra doversi attribuire la formazione di varie comunità cilentane che, ancora oggi, presentano chiare tracce di questa contaminazione culturale. Infatti fu proprio intorno alle celle degli anacoreti ed ai primi cenobi che iniziarono a formarsi piccole comunità i cui abitanti, sotto la guida e alla protezione dei monaci, iniziarono a risanare e dissodare i terreni incolti e, quando grazia alle donazioni – a cui abbiamo fatto riferimento all’inizio di quest’articolo – i terreni da coltivare aumentarono sempre di più i cenobi prima, e i monasteri benedettini successivamente, divennero più importanti ed intorno ad essi si formarono le prime comunità più grandi e complesse. Nei cenobi basiliani e nei monasteri benedettini arrivarono anche persone che cercavano riparo per sfuggire alle terribile incursioni islamiche, perché nell’Italia meridionale del IX-XI secolo la presenza dei musulmani rappresentò un grave e continuo pericolo. Ricordiamoci che a metà del IX secolo la Sicilia era caduta in mano araba. Incursioni di pirati islamici provenienti dalla Sicilia comunicarono, dunque, a saccheggiare le coste dell’Italia meridionale, in particolare quelle dei territori longobardi che, com’è noto, avevano poca dimestichezza con il mare e non possedevano una flotta adeguata. Dopo che nel 827 gli Arabi erano sbarcati a Mazara del Vallo in Sicilia, dando così il via alla conquista dell’isola, negli anni tra l’835-836, senza nessuna incursione piratesca, incominciò la dannosa presenza araba nella nostra regione. Infatti in quel biennio il duca di Napoli, pressato dalle truppe del principe Sicardo di Benevento, chiese aiuto ai Saraceni. Questo determinò un consolidamento della loro presenza lungo il nostro territorio, perché i vari stati meridionali, sempre in lotta tra di loro, assoldarono a più riprese truppe ausiliare arabe. I mercenari islamici ed anche altre bande seminarono per molto tempo il terrore nelle popolazioni meridionali, con saccheggi e distruzioni. Nel Cilento c’è il caso Agropoli che rappresenta in maniera evidente quanto stiamo raccontando. La presenza di un gruppo di Saraceni che si insediò stabilmente ad Agropoli, determinò il totale abbandono della fascia costiera con gravi conseguenze sulla già precaria economia dell’area. Le origini storico-politiche del Cilento, come abbiamo cercato di raccontare in parte in quest’articolo e come cercheremo di fare nei prossimi, vanno anche individuate in tale sorta di crogiolo di civiltà, di culture e religioni diverse, non esclusa persino quella islamica. Oggi purtroppo ci sembra incredibile tutto ciò, molto probabilmente perché siamo cresciuti all’interno di un recinto culturale e identitario esclusivo. In realtà la nostra storia è stata un crocevia dove avvenne il contatto, talora persino traumatico, tra popoli di varia provenienza che seppero anche scambiarsi esperienze culturali in un clima di relativa tolleranza e di ciò bisognerà tener conto se si vogliono comprendere le nostre radici. Concludiamo quest’articolo con quella che potrebbe apparire una provocazione, ma che forse non lo è. Molti di noi, forse quasi tutti, siamo orgogliosi – e d’altronde mi chiedo perché non dovremmo esserlo – di definirci cilentani. Orgogliosi dei nostri paese, dei nostri dialetti, delle nostre tradizioni, della nostra dieta mediterranea che proprio qui è stata studiata ed elaborata. Ora, fermiamoci a pensare cosa ha prodotto tutto ciò. Scopriremmo che sono stati greci, fenici, romani, goti, longobardi, popoli italici, islamici, normanni, svevi, e tanti altri popoli con culture diverse, lingue diverse, religioni e credi diversi che hanno concimato queste terre fertili del Cilento. Noi ora siamo la piante di quel seme, anzi di quei semi. Un’innesto perfetto che ha dato vita a questo meraviglioso Parco Nazionale del Cilento, del Vallo di Diano e degli Alburni.
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