I tombaroli di Paestum, scacco al grande business dei reperti trafugati. Pioggia di arresti
| di RedazioneMigliaia di reperti trafugati in domus di epoca romana e poi rivenduti. Una rete ramificata in tutto il territorio nazionale, che riusciva ad avere l’appoggio di una casa d’aste. Compratori e intermediari in tutta Europa pronti ad acquistare i preziosi oggetti archeologici italiani. Due squadre di tombaroli pronte a entrare in azione in tutto il Meridione. Ma soprattutto, oltre mille reperti archeologici e 2300 monete recuperati in diverse operazioni. Dopo tre anni di indagini, la Procura di Torre Annunziata ha coordinato le indagini il procuratore aggiunto Pierpaolo Filippelli ha chiesto il processo per ventisei persone. Tanti i reati contestati a vario titolo al gruppo, che aveva una delle basi a Castellammare: associazione a delinquere finalizzata alle ricerche archeologiche in assenza di concessione, danneggiamento del patrimonio archeologico, impossessamento illecito, ricettazione di beni culturali, esportazione illecita di reperti archeologici, tutto con l’aggravante della transnazionalità.
Due arresti nel Cilento
Un’organizzazione che si occupava di ricettazione, furto ed esportazione illecita di reperti archeologici e numismatici è stata infatti smantellata dai carabinieri del nucleo tutela del patrimonio artistico di Bari e dalla procura di Trani. Cinquantuno persone sono state indagate, di cui ventuno raggiunte da varie misure cautelari. Tra di esse, Angelo Trenga di Lustra è stato posto agli arresti domiciliari e Francesco Cascone di Capaccio Paestum è stato sottoposto all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. L’operazione si è concentrata a Canosa di Puglia ma ha coinvolto tutta l’Italia centro-meridionale, con ramificazioni dall’Abruzzo al Trentino. La rete criminale comprendeva tombaroli, ricettatori o individui che svolgevano entrambi i ruoli.
Luoghi colpiti
Pompei e Paestum erano le aree preferite per colpire: più ampie, meno sorvegliate, spesso inesplorate e più ricche di reperti. Ma oggetti antichi e monete con oltre duemila anni di storia abbondavano anche negli scavi clandestini di Stabia e Boscoreale, e poi nel Casertano in particolare a Maddaloni e in alcuni siti in provincia di Foggia, come a Cerignola. Le indagini, partite con un sequestro di reperti avvenuto in Spagna nel 2014, hanno permesso di ricostruire tutta la rete: dai tombaroli ai veri e propri trafficanti di arte. Denominata «Artemide» come una casa d’aste di San Marino, l’inchiesta ha collegato tutti i tasselli del complesso mosaico, per arrivare alla penisola iberica, in Germania e Austria.
I ruoli dell’organizzazione
Secondo quanto ricostruito, ognuno aveva un ruolo ben preciso. Luigi Giordano, Simone Di Simone, Amedeo Tribuzio, Giuseppe Barbera e Orazio Pellegrino si occupavano di dirigere l’intero traffico di reperti, recuperando gli oggetti archeologici dalle varie batterie di tombaroli. Lorenzo e Bruno Moretti titolari della «Artemide Aste» di San Marino «ripulivano» i beni trafugati, nascondendo la provenienza dal mercato nero. Jaime Bagot Peix, invece, era il «gancio» spagnolo. Angelo Trenga organizzava e dirigeva gli scavi in aree vincolate, ma reperiva anche oggetti da rivendere sui vari mercati e li trasportava all’estero. Raffaele Almavera, Gaetano Longobardi e Francesco Franco, poi, acquistavano i reperti dalle mani dei tombaroli, mentre Nunzio Accomando faceva da intermediario tra le due parti, anche con compratori esteri. Ed ecco, dunque, le due squadre di tombaroli. Una era organizzata dallo stabiese Antonio De Rosa, che aveva in batteria gli specialisti Giovanni Casciello, Benito Civile, Sebastiano Corrado, Raffaele Del Sorbo, Andrea Donnarumma, Romeo Franco Ferraiuolo e Antonio Sansone. Mentre il casertano Pasquale Messina poteva contare su Elio Fontana, Sergio Fontanarosa, Alessandro Lucidi e Roberto Ricciardi. I capi dell’organizzazione, secondo gli inquirenti, erano Giordano e De Rosa (a Castellammare), Trenga (ad Agropoli e Paestum), Messina (a Mondragone), Tribuzio (a Poggiomarino), Pellegrino (a Gela) e i Moretti con la loro casa d’aste di San Marino.
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