«Il Cilento non è per tutti»
| di Egidio MarchettiPubblichiamo il contributo di Egidio Marchetti riportato sul settimanale Unico.
Come ogni anno, la stagione estiva volge al termine evidenziando luci ed ombre. Quasi come se due forze contrarie si contrapponessero in una difficile convivenza, al limite della incompatibilità. Alcuni operatori da tempo hanno fatto una scelta coraggiosa, selezionando i propri prodotti, rivolgendosi ad una clientela sempre più esigente, garantendo servizi di livello.
Questi sono gli innovatori, imprenditori che rischiano, abituati a confrontarsi anche con altri ambiti geografici, dotati di competenza, di senso critico e di ambizione. Pronti a raccogliere i frutti del loro lavoro nel medio e lungo termine. Sono quelli che preferiscono l’Essere.
Ci sono poi coloro che prediligono l’Avere: sono i redditieri e gli speculatori. Quelli che vanno sul guadagno sicuro ed immediato, che assecondano ed alimentano un turismo “mordi e fuggi”, fatto di folle rumorose e scadenti, poco rispettose delle regole e dell’ambiente.
E che finiscono per attrarre i “cafoturisti”, quelli che lasciano i loro souvenir di spazzatura lungo le strade cilentane o peggio, le loro deiezioni sulle spiagge, dove consumano falò facendo legna da ardere con le staccionate.
Il nostro futuro dipende da quale modello prevarrà tra questi due: quello dell’ “Essere” e quello dell’ “Avere”.
C’è da dire che il cilentano è diverso antropologicamente dagli abitanti delle aree metropolitane, il che non significa per forza essere migliore o peggiore.
Di conseguenza, chi viene qui dovrebbe adattarsi a questo spirito.
Di chi ama il silenzio, gli spazi ampi ed è geloso di questo patrimonio.
D’altronde è così anche altrove, soprattutto dove esiste una forte identità : il turista che si sposta in Toscana ,in Trentino o in Abruzzo cercherà quelle caratteristiche e non penserà che saranno i padroni di casa a doversi adeguare ai turisti.
Da molti anni invece alcuni cilentani hanno rinunciato ad essere se stessi, finendo per scimmiottare modelli diversi, svendendo il territorio, stravolgendo la propria identità, creando un ibrido e molte contraddizioni tra un’anima paesaggistica di notevole livello e determinati corpi aggiunti, slegati da quel contesto naturale.
Creando poi una sorta di dipendenza da questo circuito di presenze, costituite in gran parte da flussi di prossimità, che nei decenni hanno sostituito intergralmente quello nazionale ed internazionale, iniziato dal Club Med negli anni ’50, in una epopea gloriosa che fu l’atto fondativo del turismo cilentano, poi smarrito per il prevalere di logiche localistiche e speculative.
Il risultato oggi è emblematico: una sorta di “mutazione genetica”, dove alla prevalenza numerica di presenze campane, il sistema regionale che organizza e finanzia eventi di piazza, impone spettacoli e concerti di chiara matrice partenopea. Dove, al filone neomelodico, si abbinano sovente cabarettisti bravi a far sorridere solo un certo tipo di turisti…facendo fuggire tutti gli altri.
In un perverso rapporto tra cause ed effetti, che alimenta una spirale di bisogni per sfamare una domanda sempre più scadente.
La qualità ha quindi un prezzo da pagare che si chiama selezione, non sempre basata sul denaro. Facendo uno sforzo collettivo, con un un percorso quasi terapeutico. La cura della Cultura, sia negli eventi che nella formazione professionale. La cura della Bellezza, nella tutela del verde e dei centri storici.
La cura del Suono, abbassando il volume o spegnendolo proprio nelle manifestazioni kitch, diffondendo invece buona musica, medicina efficace ed infallibile. La cura dell’Urbanistica, fermando le orrende speculazioni edilizie frutto di Piani Regolatori killer. Con quelle brutte villette a schiera, fatte apposta per allevare ed attrarre turisti come polli di batteria.
La cementificazione disordinata lungo le strade comunali e provinciali che hanno fatto diventare un tutt’uno degli agglomerati interurbani, come un’unica plaga informe. Dove si alternano case, stazioni di servizio, supermercati, lavaggi e lavanderie, pizzetterie, girarrosti et similia.
Senza soluzione di continuità e senza capire dove finisca un paese e ne inizi un altro! Un modello disordinato in stile “suburra metropolitana”.
Noi che ancora ci teniamo a distinguere Moio della Civitella da Pellare, Santa Barbara da Ceraso, Orria da Piano Vetrale, non possiamo consentire che diventi tutto una indistinta periferia.
È tempo di fermarsi e di riflettere. Confidando in una nuova generazione di amministratori e di imprenditori, non solo dal lato anagrafico, che sappiano resistere alle pressioni dei nuovi “cercatori d’oro”, gente propensa più al saccheggio che al ciclo economico e sociale.
Dando ascolto ai primi, quelli dell’Essere. Premiando magari chi sceglie una vacanza lunga, senza spennare il turista, pensando di massimizzare gli incassi in un arco temporale breve, creando così i presupposti per stagioni sempre più brevi e caotiche, a cui fanno da contraltare nove o dieci mesi di penoso letargo.
Approfittando poi delle agevolazioni fiscali per rifare i centri storici, aggiustando gli orrori degli anni ’70 , recuperando i volumi esistenti e facendo tornare a vivere la gente al centro, così come gli artigiani ed i negozianti con le loro botteghe.
Riaprendo i palazzi nobiliari, i conventi chiusi. La qualità è anche questa. Servirà a noi per crescere, ad avere ospiti diversi e ad esserne all’altezza, diventando consapevoli di far parte di una grande comunità di cento borghi, custodi responsabili ed innamorati della propria terra.
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