Il clima cambia, noi ancora no
| di Redazionedi Giangaetano Petrillo
Il clima cambia, ma l’Italia resta sempre ferma allo stesso punto. Ancora una volta siamo impegnati nell’ennesima conta dei danni causati dall’ondata di maltempo che ha colpito diverse aree della penisola e nel nostro territorio il diversi paesi del Golfo di Policastro. E così si ripete sempre lo stesso copione. Piani straordinari d’aiuti, leggi speciali e nomina di super-commissari. Siamo un Paese in cui l’emergenza si è trasformata in ordinaria amministrazione. I numeri non lasciano spazio ad interpretazioni, e vedono l’Italia nel ventennio 1998 al 2018 tra i 10 paesi al mondo che hanno subito più danni legati a catastrofi naturali. Questo è quanto emerge da uno studio dell’ONU per la riduzione dei rischi dei disastri (l’Unisdr). E se a volte contro lo strapotere della natura l’uomo può ben poco, nella maggior parte dei casi non è così. Ne sanno qualcosa a Genova dove si sono visti crollare un ponte sopra le loro teste sotto i colpi di un acquazzone estivo o ad Amatrice e dintorni dove nel 2016 un terremoto di magnitudo 6 provoca 299 vittime ed intere località rase al suolo mentre un evento della stessa magnitudo avvenuto nel 2017 ad Ohara (Giappone) non ha prodotto alcun tipo di danno a persone o cose. Eppure, una soluzione per fare le cose diversamente e meglio esiste. Una parola magica che viene ripetuta da anni e da molti, nell’indifferenza generale della politica, la prevenzione.
È la stessa Commissione europea a quantificare che ogni euro speso in prevenzione permette di ridurre di almeno 4 euro i costi legati all’emergenza, alla ricostruzione e al risarcimento dei disastri dovuti alle calamità naturali. Prevenire dunque è meglio che curare, e c’è chi lo sostiene da sempre cercando di convincere le istituzioni (finora inutilmente) della vitale importanza di un serio piano di manutenzione e messa in sicurezza del territorio. L’Italia è un Paese fragile, è inutile negarlo. Ben 19mln di famiglie italiane vivono in aree classificate a maggior rischio sismico. Un dato che già di per sé dovrebbe bastare per far comprendere alla politica quanto sia essenziale la cura del territorio e quanto sia necessaria una grande opera di rammendo (prendendo in prestito le parole di Renzo Piano). Oltre all’inaccettabile perdita di vite umane, i disastri naturali hanno un costo altissimo per le casse dello Stato, un conto reso ancora più salato da anni di incuria e mancata manutenzione. 256mld di euro è il prezzo dei danni provocati da terremoti, alluvioni e frane in Italia negli ultimi 70 anni.
Ci sono due fronti su cui può e si deve agire in fretta, e sono le case e scuole. Di non molti anni fa è il crollo, ultimo in ordine di tempo, di parte del soffitto di un’aula della scuola elementari di Scario nel comune di San Giovanni a Piro. Per fortuna al momento del crollo non erano presenti gli alunni e nemmeno gli insegnanti, e la stessa cosa si era registrata anche in una scuola di Vallo della Lucania. Scarsa manutenzione oppure un cedimento strutturale improvviso dovuto ad altre motivazioni, di sicuro questo, come altri casi sparsi lungo tutto il nostro paese, dimostra quanto scarsa o del tutto assente sia la prevenzione e il monitoraggio. La vera emergenza è quella della sicurezza. Il 70% degli immobili italiani è stato costruito prima dell’emanazione delle norme antisismiche del 1974. Abbiamo un patrimonio edilizio troppo vecchio, soltanto il 3% delle nostre case ha meno di 10 anni. Tutto questo si traduce in uno spreco energetico senza precedenti. Le abitazioni antiquate consumano quattro volte tanto rispetto a quelle costruite secondo le recenti normative sull’efficienza energetica. Con un impatto ambientale di queste proporzioni, potremmo chiederci, quale credibilità può avere il nostro Paese ai tavoli internazionali sullo sviluppo sostenibile. Bisogna rigenerare le nostre case. Per farlo serve un piano coraggioso di incentivi fiscali mirato a spingere i privati ad adottare soluzioni green.
Lo stato non ha nulla da perdere, c’è tutto da guadagnare in termini di crescita e posti di lavoro. Avremo, si spera a breve, i fondi del Next Generatio EU, molti dei quali indirizzati proprio a interventi sul sostenibile e la riconfigurazione ambientale del nostro paese. Sarebbe il caso di intervenite fortemente soprattutto in zone, come le nostre, dove tra dissesti idrogeologici, continue esondazioni e scosse telluriche, versa in condizioni molto pericolose e instabili. C’è poi una vera e propria vergogna nazionale, quella dell’edilizia scolastica, alla quale si accennava prima. La metà degli istituti si trova nelle zone a maggior rischio terremoto e oltre il 60% degli immobili è antecedente alle leggi antisismiche. Cittadinanzattiva ha calcolato che nell’ultimo anno ogni tre giorni in una scuola italiana c’è stato un crollo.
Che futuro può avere un Paese che non si prende cura del luogo in cui si formano i cittadini del domani? Che messaggio pensiamo di trasmettere ai nostri figli? Gli strumenti per la prevenzione e la messa in sicurezza ci sono, manca la volontà politica. E non si tratta solo di proteggere la vita delle persone che abitano il nostro meraviglioso paese ma anche di salvaguardare l’immenso patrimonio storico e culturale che fa dell’Italia il luogo con più siti riconosciuti patrimonio dell’UNESCO al mondo (ben 51). Una ricchezza che ci è stata lasciata in prestito e che abbiamo l’obbligo morale di consegnare alle future generazioni. Negli anni a venire il riscaldamento globale avrà effetti sempre più intensi e distruttivi. L’Italia non può far finta di niente, il clima è già cambiato, adesso c’è bisogno di cambiare le nostre politiche. C’è bisogno di cambiare la nostra consapevolezza del rischio. C’è bisogno di cambiare il nostro presente perché ad oggi stiamo negativamente cambiando il futuro delle prossime generazioni.
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