Il mito eterno del nocchiero Palinuro
| di Angelo GentilePer il turista che da Marina di Camerota si reca a Palinuro lungo la strada che costeggia la Cala del Cefalo, appare un promontorio massiccio che invade il mare con su in sommità una costruzione semaforica, avvicinandosi di più si può vedere un grande scoglio rassomigliante a un coniglio e un grande buco nella roccia, vicino al fiume Mingardo, che è nomato Arco Naturale. Dall’altra parte del promontorio, Palinuro antico borgo marinaro, oggi meta agognata dai turisti di tutto il mondo
Il nome deriverebbe da Palinouros cioè “vento contrario” o “vento che gira” in considerazione che la zona è sottoposta a venti e, conseguentemente, da correnti alquanto pericolose. Infatti, quando il vento libeccio o maestrale spira, il mare antistante il borgo di Palinuro diventa pericoloso per i natanti, ma ci si può rifugiare dall’altra parte del promontorio, alla Marinella, vicino allo scoglio del Coniglio; quando il vento spira da sud, il rifugio sicuro diventa il porto di Palinuro, da questa parte del promontorio. Gli storici antichi non citano una città dal nome “Palinuro”, ma nel 1939 in località Tempa della Guardia, in posizione elevata affacciante sul fiume Lambro furono scoperte e scavate 17 tombe, c’era quindi un insediamento con vita breve, con cinta muraria a blocchi. Le sepolture poggiavano su fondi di precedenti capanne neolitiche. Tra i resti di ceramiche abbondanti, fu rinvenuta uno statere d’argento con la scritta PAL Mal e l’effige di un cinghiale. In vero sembrerebbe che si facesse riferimento alla vita commerciale-politica della città-stato e l’emblema del cinghiale un riferimento alla “ver sacra” (primavera sacra) e quindi all’animale guida preso come riferimento per la nuova città e/o colonia dei giovani designati allo scopo, partenti dalla città madre che non poteva più ospitarli per varie cause.
Sia al Cabinet des Medilles di Parigi, sia al museo di Berlino, sia al British Museum di Londra si conservano 3 monete d’argento (stateri) del VI secolo avanti Cristo con la figura di un cinghiale in movimento e l’iscrizione PAL da una parte e dall’altra MOL, ovvero Palinuro e Molpa. Il primo a possedere una simile moneta fu il duca De Luynes, ma credeva che fosse un falso. Non vi è traccia, come detto, negli autori antichi di queste due città che secondo alcuni erano economicamente alleate per battere moneta. Plinio e Strabone citano, però, il Capo Palinuro (o anche Capo Spartivento come riportato in carte nautiche) in riferimento al celeberrimo nocchiero virgiliano. Dal riferimento all’autore latino e alla sua più famosa opera, l’Eneide, si estrapola la leggenda di Venere supplicante il crudele dio del mare Nettuno, affinchè rendesse sicuro il tratto di mare che Enea ed i troiani avrebbero percorso veleggiando verso la costa laziale, dove poi sarebbe sorta Roma. Nettuno promise che un solo uomo sarebbe stato sacrificato, “uno per tutti sarà tratto a morte”. La vicenda narrata nel Quinto Libro è nota, Palinuro, avanti agli altri per scelta di Enea che di lui si fidava, tracciava la rotta nel mare mosso, intanto giunse la notte e tutti si erano addormentati sui banchi lignei, tranne l’intrepido Palinuro che aggrappato al timone vigilava nella notte tempestosa finchè sotto le spoglie del compagno Forbante, si presentò il dio Sonno che lo invitava a riposarsi perché lo avrebbe sostituito lui al timone. Palinuro rifiutò per rispettare l’impegno preso con Enea, ma il dio Sonno, con un rametto del fiume infernale Letè, lo toccò sulle tempie addormentandolo e spingendolo in acqua con tutto il timone a cui il povero nocchiero rimaneva aggrappato. Nessuno si accorse della tragedia e la nave continuò la navigazione. Nel Sesto Libro dell’Eneide, Virgilio immagina che Enea per rivedere il padre Anchise morto, chiede alla Sibilla di scendere nell’Averno e lì, sulla sospirata riva dell’Acheronte s’imbatte nell’ombra di Palinuro, che è costretto, in quanto insepolto, a rimanervi cento anni prima di essere traghettato agli Inferi. Enea gli chiede cosa fosse successo e Palinuro, disperato, risponde che era aggrappato al timone per tenere meglio la rotta, ma questo si era staccato improvvisamente trascinandolo fra le onde. Per tre giorni e tre notti aveva lottato tra i flutti finchè la corrente non lo spinse su una scogliera, ivi la popolazione, credendolo un mostro marino, lo trucidò lasciandolo sul lido. Quindi l’afflitto defunto/ombra supplica il condottiero troiano (eroe delle armi e della pietà) di provvedere alla sua sepoltura, tornando un poco indietro fino al porto di Velia. La sepoltura è la condizio sine qua non dell’ingresso agli Inferi, altrimenti negato alle ombre. La Sibilla interviene e rassicura Palinuro che quelle stesse popolazioni che l’hanno ucciso, lo seppelliranno per evitare vendette divine e il suo nome, “Palinuro”, sarà dato al luogo della tragedia, e ricordato in eterno entrando di fatto nella gloria! Ciò è sufficiente per placare il dolore di Palinuro.
Abbiamo, quindi, due versioni:
- nel Quinto Libro, Palinuro è addormentato dal dio Sonno e sospinto in mare;
- nel Sesto Libro, Palinuro cade in mare per la rottura del timone a cui era aggrappato.
Una discordanza evidente. Alcuni letterati propendono per due momenti diversi di scrittura dei testi del Quinto e del Sesto libro dell’Eneide e, quindi, in una dimenticanza distrattiva di Virgilio, ma, forse, la risposta sta nel filo stesso della narrazione: il nocchiero Palinuro non sapeva dell’intervento della divinità per ottenere l’unico uomo da sacrificare, secondo i voleri di Nettuno e, infatti, riferisce ad Enea ciò che è a sua conoscenza; invece l’episodio presentato nel Quinto Libro appartiene alla fantasia ed all’architettura dell’opera intera, ovvero Virgilio è narratore onnisciente e fa riferimenti a fatti pregressi, a volontà divine espresse dall’inizio dell’opera secondo un suo filo logico e l’anima romantica con sviluppo complesso che attraversa i Dodici Libri dell’Eneide.
Questa bellissima narrazione-leggenda sin dalla pubblicazione è stata letta e tramandata da 20 secoli, ormai conosciuta e famosa nel Mondo intero rendendo di fatto eterno il nome della cittadina marinara di Palinuro e del suo omonimo Promontorio, un vero mito.
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