«Il Pazzo di Pollica», un viaggio di emigrazione e di scoperta nel nuovo romanzo di Dario Vassallo
| di RedazionePhiladelphia, 9 settembre 1909. Un baule segnato dal tempo diventa un ponte tra due mondi diversi, distanti, e un solo cuore. Da una lettera ingiallita dal tempo, custode dell’essenza dei cilentani, caparbi e determinati, prende avvio “Il Pazzo di Pollica”, il nuovo romanzo di Dario Vassallo, medico-scrittore e Presidente della Fondazione “Angelo Vassallo Sindaco Pescatore”.
A partire dalla lettera autografa, l’autore costruisce la sua storia, che mescola realtà e immaginazione, facendo rivivere il sogno di Peppino, emigrato dal piccolo comune cilentano di Pollica diretto verso gli Stati Uniti, e di tutti coloro che hanno il coraggio di essere folli, di credere nelle proprie passioni e di lottare per i propri desideri.
“Il Pazzo di Pollica” diventa così metafora dell’audacia di inseguire un sogno, di ricercare la felicità, attraverso quella follia che diventa ispirazione, fino a dominare l’esistenza di un uomo: è quella spinta motivazionale a non arrendersi, ad osare, a perseguire l’ignoto, a sfidare un destino che sembra già deciso dai canoni sociali, con la fiducia incrollabile a perseverare nella lotta per concretizzare i propri desideri.
«Scrivere un romanzo significa uscire dalla realtà ed entrare in un sogno, in un’altra vita. Scrivendo, vivi emozioni, angosce, dolore, felicità dei tuoi personaggi – sottolinea l’autore Dario Vassallo – Fai rivivere persone che non hai mai conosciuto e, allo stesso tempo, fai vivere persone conosciute, a te care, che all’improvviso (per loro) si ritrovano in un libro».
Il libro diventa così un viaggio, che parte da Pollica fino a toccare Philadelphia, New York, Manfredonia, in cui prendono vita i personaggi e i luoghi meravigliosi che Dario Vassallo ha incontrato nel suo peregrinare incassante in Italia alla ricerca della verità sulla morte del fratello, Angelo Vassallo, il Sindaco Pescatore di Pollica, assassinato nel 2010.
«Nel libro, che nasce da una lettera vera che io conservo, rivivono le emozioni di Peppino, che parte da Acciaroli nei primi anni del ‘900 inseguendo il sogno americano e scrive al fratello, sottolineando che mentre lì, a Pollica è considerato un pazzo, a Philadelphia invece, tra persone di affari, gode della fiducia di tutti – insiste l’autore – Nella missiva spedita da Philadelphia, Peppino racconta le sue vicissitudini nel nuovo Paese. Negli Stati Uniti pubblicherà anche un articolo dal titolo “La scuola civile e il pensiero di Giordano Bruno”. Molte delle rimesse inviate in Italia dai suoi connazionali portano il suo nome, divenuto un uomo di successo negli Stati Uniti. Come Peppino, anche io sono stato considerato un pazzo dopo la morte di Angelo, dopo le nostre ricostruzioni della vicenda giudiziaria – prosegue Dario – Lo stesso Angelo, un visionario per le sue idee innovative: la sua lungimiranza oggi è travolgente ed evidente alle nuove generazioni. Tre vite, tre storie, tre vicende personali che rivivono attraverso il protagonista Peppino, un rivoluzionario culturale».
Un romanzo che si spalanca alla contemporaneità, multiforme e stratificato, che apre un profondo parallelismo tra i movimenti dei popoli che si muovono nel Mediterraneo e l’attuale fuga intellettuale dei giovani dal Sud dell’Italia: quasi una contrapposizione di una moderna questione meridionale, di un Mezzogiorno che invecchia e perde i suoi giovani, e le emigrazioni di italiani e di cilentani di fine ‘800: un flusso migratorio che raggiunse la punta massima nei primi decenni del ‘900 verso gli Usa, con lo spopolamento progressivo dei piccoli paesi del Cilento sul mare e dell’entroterra, dove rimasero solo donne, vecchi, bambini.
Una terra madre che a tratti respinge, scoraggia, che invita ad adeguarsi al conformismo sociale, in cui la creatività e l’innovazione sono incomprese, la meritocrazia viene meno e le idee avveniristiche e la diversità vengono etichettate, invece, come follia. Di contro quel desiderio di conoscere il mondo, di viaggiare, di fare fortuna, di scoprire, di emanciparsi rispetto ad un contesto che sembra già scandito, ma soprattutto di non arrendersi alla forza dirompente di un sogno, come quello che arde ne “Il Pazzo di Pollica”.
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