Il premio Nobel per la chimica 2024 assegnato a tre studiosi delle proteine: David Baker, Demis Hassabis e John M. Jumper
| di Federico AutunnoIl premio Nobel per la chimica 2024 è stato assegnato a tre studiosi delle proteine: David Baker, Demis Hassabis e John M. Jumper. Gli scienziati hanno vinto il Nobel per la chimica grazie ai loro studi riguardanti la struttura delle proteine. Ma cosa sono le proteine?
Le proteine sono costituite da tanti ”mattoncini” chiamati amminoacidi. Questi “mattoncini” molecolari non sono tutti uguali: la natura ha bisogno di diversità per creare e armonizzare le sue opere più complesse. Gli amminoacidi che costituiscono le proteine sono 22, ognuno diverso dall’altro e con caratteristiche chimiche peculiari. Il nostro organismo, da solo, non è in grado di costruire tutti gli amminoacidi che occorrono per avere delle proteine funzionali; pertanto chiede aiuto all’ambiente esterno il quale gli rende disponibili ben 9 amminoacidi da assumere attraverso il cibo, e che vengono chiamati amminoacidi “essenziali”. I restanti 13 amminoacidi, invece, sono detti “non essenziali” perché l’organismo umano è in grado di sintetizzarli autonomamente.
Nel linguaggio quotidiano spesso sentiamo dire che “un determinato cibo è ricco di proteine”, in realtà questa affermazione non è scientificamente corretta perché le proteine assunte dall’alimentazione devono essere scisse nei loro amminoacidi; ben più corretto sarebbe affermare che “un determinato cibo è ricco di amminoacidi” i quali poi verranno assemblati, all’interno delle cellule, a formare le proteine, sulla base di specifiche istruzioni.
E come fanno le nostre cellule a costruirsi le proteine di cui necessitano? Per avviare la sintesi delle proteine che gli occorrono, la cellula mette in moto una vera e propria “fabbrica di costruzione” al cui vertice direttivo c’è il DNA. Il DNA contiene le “istruzioni” necessarie per avviare la sintesi delle proteine, e trasmette le sue direttive dall’interno del suo “ufficio” che sarebbe il nucleo cellulare, ovvero un compartimento cellulare, ben delimitato da membrane, posto all’interno della cellula stessa; funge da “centro di coordinazione” perché contiene l’intero patrimonio genetico con tutte le informazioni di cui la cellula necessita per svolgere le sue funzioni e mantenersi in vita. Il DNA è racchiuso nel suo luogo di lavoro, il nucleo, e non si azzarda ad uscire; se lo facesse probabilmente causerebbe la morte della cellula. La sintesi proteica, viceversa, avviene all’esterno del nucleo pur rimanendo sempre all’interno della cellula: in una zona definita citoplasma che occupa circa la metà del volume cellulare, costituita da una parte liquida detta “citosol” al cui interno sono dispersi tutti gli elementi funzionali, tra cui quelli necessari per la “costruzione” delle proteine.
Un altro aspetto da tenere in considerazione è che il DNA parla una lingua propria: pertanto c’è bisogno di un interprete e di un traduttore per rendere possibile una comunicazione efficace tra il nucleo e gli esecutori della sintesi proteica che si trovano al di fuori di esso, immersi nel citosol. La funzione di interpretazione delle informazioni contenute dal genoma (in gran parte DNA) è assegnata ad uno specifico messaggero, detto RNA messaggero. L’RNA messaggero, in un momento successivo, subisce una leggera modifica a causa della quale può uscire dal nucleo con tutte le informazioni necessarie per avviare la sintesi delle proteine, nel citoplasma. Il processo appena descritto, in biologia, è chiamato “trascrizione”.
Per sintetizzare una proteina non è sufficiente la trascrizione del DNA attraverso l’RNA messaggero: c’è bisogno anche di un ulteriore passaggio, la traduzione. La traduzione si potrebbe definire come “un’applicazione pratica” delle istruzioni trascritte dall’RNA messaggero; avviene nel citosol ed è un passaggio fondamentale che consente di tradurre il linguaggio genetico nel linguaggio proteico. A questo scopo entrano in gioco i ribosomi: complessi macromolecolari, con funzioni catalitiche, attraverso i quali vengono assemblate le nuove proteine. I ribosomi sono caratterizzati dalla forte presenza di RNA ribosomiale come componente essenziale: l’RNA ribosomiale fornisce un meccanismo efficace per la traduzione del trascritto dell’RNA messaggero in sequenze di amminoacidi garantendo l’interazione dell’RNA messaggero con un altro tipo di RNA, detto RNA transfer. L’RNA transfer è un vero e proprio “adattatore” che porta gli amminoacidi ai ribosomi e li colloca nella posizione corretta; in questo modo, amminoacido dopo amminoacido, viene a formarsi la proteina. Gli amminoacidi vengono legati gli uni agli altri a formare lunghe catene proteiche; e poi si avvolgono e si ripiegano in strutture tridimensionali uniche e peculiari, che servono a conferire a quelle date proteine una funzione specifica.
TUTTO E’ MOLTO COMPLESSO. Il dogma centrale della biologia ci dice che ad ogni gene (un gene, per farla breve, è un pezzetto di DNA) corrisponde una proteina; anche se recentemente sono stati scoperti geni non codificanti, il dogma è ritenuto ancora valido. Stando a questo asserto, potremmo dunque concludere che il numero di geni sia uguale al numero di proteine; in realtà il numero di proteine è assai maggiore rispetto al numero di geni del genoma umano, pari a circa 25.000 geni. Questa divergenza ha diverse cause tra cui la più importante è rappresentata da quel fenomeno che, in biologia, è noto come “splicing alternativo”: si tratta di un processo che consente di ottenere più RNA messaggeri partendo dallo stesso gene, che codificano per proteine diverse.
LA FUNZIONE DELLE PROTEINE. Le proteine sono di vitale importanza per il nostro organismo: svolgono innumerevoli funzioni e sono caratterizzate da specifiche strutture. Molto spesso accade che una specifica proteina sia deficitaria in alcuni individui a causa di errori che riguardano le istruzioni fornite dal DNA per la sua sintesi: si tratta della principale ragione per cui esistono le malattie genetiche rare.
IL GRANDE MERITO DEI TRE SCIENZIATI VINCITORI DEL NOBEL. David Baker, Professore all’Università di Washington, è riuscito a creare una proteina praticamente nuova, che prima non esisteva. Lo ha fatto grazie allo sviluppo di metodi informatici. La proteina si chiama Top7 ed ha una struttura peculiare che non esiste in natura; si tratta della prima proteina artificiale. Successivamente, il gruppo di ricerca del Professor Baker è riuscito a produrre ulteriori proteine inedite tra cui alcune che possono essere usate in nuovi farmaci, in vaccini, nanomateriali e minuscoli sensori.
Demis Hassabis, amministratore delegato di GoogleDeepMind, e John Michael Jumper, ricercatore senior presso GoogleDeepMind, sono riusciti a predire la struttura tridimensionale delle proteine a partire da una sequenza di amminoacidi attraverso l’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Grazie al modello di intelligenza artificiale che hanno sviluppato, detto AlphaFold2, sono riusciti a raffigurare la struttura di quasi tutte le proteine note, all’incirca 200 milioni. Il sistema AlphaFold2 ha un enorme potenziale perché può essere applicato per la realizzazione di numerosi studi scientifici.
Entrambi gli studi sono stati premiati per l’impatto rivoluzionario sulla ricerca scientifica, soprattutto in ambito biochimico: è ora possibile risolvere problemi complessi in poco tempo. Inoltre, conoscere meglio le proteine, e riuscire a predirne le strutture, oltre a crearne di nuove, può aiutare sensibilmente nella comprensione delle malattie e nella ricerca di nuove cure sempre più efficaci.
Foto: fai.informazione.it
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