Il rapimento di Aldo Moro, ancora tanti lati oscuri
| di Giuseppe AmorelliEra un giovedì quel 16 marzo 1978, quando, alle ore 9,00 l’On.le Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana, mentre si accingeva a raggiungere la Camera dei Deputati, per dare la fiducia al governo Andreotti con l’appoggio del PCI, fu, in via Fani a Roma, rapito da un commando terrorista, si continua a dire, delle Brigate Rosse. Nell’agguato persero la vita, perché trucidati, i cinque uomini della sua scorta: Domenico Ricci, Oreste Leonardi, Francesco Zizzi, Raffaele Iozzino e Giulio Rivera.
Ancora oggi vi sono molteplici dubbi sulla ricostruzione del rapimento dell’On.le Moro. Da ultimo, infatti, il 26 febbraio 2024 la polizia criminale Tedesca in una importante operazione ha arrestato Daniela Kettel, esponente della terza generazione della Rote Armee Fraktion, la Raf, fondata dalla Banda Beider- Meinoff, latitante da oltre 30 anni. Nel suo garage la polizia sequestra un vero e proprio arsenale di armi.
La donna, al momento dell’arresto era in possesso di un passaporto italiano falso intestato a Claudia Bernadi o Ivone. Gia nel mese di maggio delll’anno 1979 quando Elisabeth von Dyck, membro della Raf, venne uccisa a Norimberga, viene scoperto che lei e un tale Rolf Heißler, erano in possesso di carte d’identità italiane con le loro foto ma con le generalità di ignari cittadini italiani realmente esistenti.
Si è appurato che le persone a cui era stata rubata l’identità lavoravano presso una scuola di Roma, nella quale era stata impiegata la brigatista Marina Petrella. Nel covo di via Gradoli infatti furono rinvenuti, in data 18 aprile 1978, durante il sequestro dell’On.le Aldo Moro, vari moduli in bianco identici a quelli usati per i documenti falsi di Elisabeth von Dyck. Altri moduli ancora furono ritrovati nell’appartamento di Giuliana Conforto, quando vennero arrestati Valerio Morucci e Adriana Faranda il 29 maggio 1979.
Un ulteriore elemento che si ritiene fondamentale per la ricostruzione della scena del rapimento a Via Fani sono le dichiarazioni rese nella primavera dell’anno 2015 alla commissione Moro 2 da Eleonora Guglielmo. La donna, che all’epoca abitava in via Fani, dichiara che la mattina del 16 marzo 1978, di aver udito le parole: “Achtung, Achtung” gridate da due terroristi su una moto di grossa cilindrata (Honda). Riferisce altresì la signora che quanto dichiarato lo aveva riferito all’epoca del rapimento ai giornali ma che gli “investigatori” erano rimasti sordi. Pertanto anche dalle risultanze processuali risulta la presenza in strada in via Fani, quel giorno, di una moto blu e quindi le moto erano due. Infatti due testimoni oculari dichiarano che la seconda moto, inizialmente ferma poco distante dal bar Olivetti, si avviò poi a grande velocità verso via Stresa insieme con le auto che portavano via l’On.le Moro. si può supporre la presenza in via Fani non di una, ma di due motociclette (Honda).
Si tratta del giornalista Giovanni De Chiara, che abitava in via Fani 106 e che vide allontanarsi a sinistra, su via Stresa, una motocicletta con a bordo due persone. oltre alla Sig.ra Eleonora Guglielmo, allora ragazza alla pari proprio presso l’abitazione di De Chiara, la quale ha riferito, le grida in tedesco («Achtung, achtung»), e di aver visto una motocicletta di grossa cilindrata partire dietro a un’auto all’interno della quale era stato spinto un uomo (Aldo Moro, .), dirigendosi da via Fani verso via Stresa. Sulla motocicletta, anche secondo la donna, si trovavano due persone: il passeggero (non alla guida ) aveva capelli di colore scuro, con una pettinatura a chignon e un boccolo che ne scendeva, «e pertanto la signora Eleonora Guglielmo ritiene che fosse una donna».
Va ancora evidenziato, al fine di suffragare la tesi della presenza di uomini e donne della Raf in occasione del rapimento dell’On.le Moro quel giorno funesto del 16 marzo 1978, che pare esistano documenti appartenuti all’ex Presidente dell Repubblica Cossiga all’epoca dei fatti relativo al sequestro Ministro dell’Interno e da parte dei familiari di quest’ultimo consegnati all’Archivio storico della camera dei Deputati . Parrebbe esistere tra i vari reperti reperti una custodia in plastica per una pistola P38, arma tedesca della seconda guerra mondiale, che è stata l’arma che ha ucciso l’On.le Aldo Moro, una tronchese marca Wbw made in Germany, un lucchetto colore arancione con scritta “Germany Dep.” con due chiavi.. .
Se questi elementi corrispondono al “vero” allora è verosimile la tesi secondo la quale l’uccisione di Moro fu un “delitto di stati”. D’Altronde il pensiero politico di Aldo Moro , di straordinaria attualità, mirava all’affermazione di una politica della “solidarietà nazionale” Lui che aveva visto il 68’ come il risveglio delle coscienze, con il fiorire di atteggiamenti autonomi , con la contestazione di espressioni di potere e di cristallizzazioni politiche, con la riscoperta della società civile, con la valorizzazione della diversità dei giovani e del loro diritto a contare e cambiare.
Il Suo obiettivo politico era raccogliere le voci e le esigenze di una società in rapido mutamento, in una europa che dalla francia riceveva la spinta della contestazione giovanile. Sempre in questi anni (68) matura una “strategia dell’attenzione” tesa a scrutare l’orizzonte italiano ed internazionale per stabilire un atteggiamento di dialogo verso il PCI.
Già nell’anno 1969 Moro indicava al suo partito , la D.C., e al Paese intero che tempi nuovi che avanzavano in fretta , come non mai. La necessità, per Moro era l’affermazione d di una politica della “solidarieta’ nazionale”, come risposta ad una situazione di emergenza , come fase transitoria di “collaborazione” al termine della quale ognuna delle forze politiche contraenti avrebbe ripreso il suo cammino disponendosi in posizione di governo o di opposizione in un chiaro regime di “alternativa democratica.”.
L’ultima intervista rilasciata da Aldo Moro ad Eugenio Scalfari e pubblicata postuma nell’ottobre 1978 sulla “Repubblica”.:
«Non è affatto un bene che il mio partito sia il pilastro essenziale di sostegno della democrazia italiana. Noi governiamo da trent’anni questo Paese. Lo governiamo in stato di necessità, perché non c’è mai stata la possibilità reale di ricambio che non sconvolgesse gli assetti istituzionali ed internazionali. Quando noi parliamo di “spirito di servizio” so bene che molti dei nostri avversari non ci prendono sul serio. Pensano che sia una scusa comoda per non cedere nemmeno un grammo di potere che abbiamo. So anche che per molti del mio partito questo stato di necessità è diventato un alibi alla pigrizia e qualche volta all’uso personale del potere. Sono fenomeni gravi ma marginali. Resta il fatto che la nostra democrazia è zoppa fino a quando lo stato di necessità durerà. Fino a quando la democrazia cristiana sarà inchiodata al suo ruolo di unico partito di governo». Queste dichiarazioni furono la sua condanna.
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