“E lei stava senza mutande”: intervista a Dario Brunori
| di Giuseppe GalatoIl leader della Brunori S.A.S. si racconta al Giornale Del Cilento in occasione del suo prossimo live il 18 Agosto a MutArte: ironia e malinconia, canzoni che sembrano uscite dagli anni ’60, canzoni da falò, di storie d’amore e di storie di vita, rivivono nel cantautorato alla Rino Gaetano di questa nuova promessa della musica italiana.
D: Come stai?
R: Tutto bene, ho un furgone e sto suonicchiando ogni giorno. Che cosa vuoi che scriva, di cosa vuoi che canti?
D: Tu sei di Cosenza, non molto lontano quindi dal Cilento. Sei mai stato da questa parti e, nel caso, come ti è sembrata la zona?
R: Sono stato un po’ in giro per concerti in Campania, ma non c’è mai il tempo di poter approfondire la conoscenza con i luoghi toccati. Potrei parlarti giusto dei locali e degli alberghi. Il pubblico ci ha sempre trattato con grande affetto laddove gli organizzatori avevano fatto una buona promozione prima del concerto. Questo è quanto.
D: Rofrano: Cilento, Campania. Cosenza: Calabria. In Italia è lampante come la cultura, sia essa musicale o letteraria et similia, venga pressoché ignorata se non proprio boicottata. Se in Italia in generale la situazione è allarmante nel Cilento mi sento di dire che è quasi catastrofica. Che mi dici di Cosenza?
R: A Cosenza si respira una buona aria, nel senso che c’è un grande fermento artistico e tante forme di espressione non circoscritte solo a quella musicale. Magari mancano gli spazi e sono poche le figure professionali a livello organizzativo, per ciò che riguarda il mondo alternativo, però posso dirti che il livello medio della proposta è sicuramente buono e che una parte consistente della città segue con attenzione genuina ciò che si muove nel sottobosco.
D: Su palco hai una verve da cabarettista, inscenando siparetti comici: te le prepari da prima le battute o sono estemporanee?
R: Solitamente sono estemporanee e poi se funzionano le ripeto qua e là quando mi manca la verve o quando non mi sento tanto in vena. Alcune cose ormai fanno parte in modo fisso dello spettacolo, tipo lo stop su Paolo, che ormai è una parte imprescindibile del brano.
D: Pensi sempre solo al sesso?
R: Si, infatti sono in cura dall’analista di Michael Douglas.
D: Una curiosità personale: dato che non le ho mai mangiate, come sono le escargot?
R: Buone da ingurgitare ma davvero dure da espellere.
D: In “Nanà” a un certo punto dici “Do”: l’hai fatto per ricordare a te stesso che accordo dovesse prendere la tua mano sulla chitarra?
R: Esatto, visto che chiude in “RE-DO”. Una buffoneria come tante.
D: L’hai beccato poi quel cretino che infilava le carte nella marmitta del tuo motorino?
R: L’ho beccato qualche mese fa, ma poiché trattasi di un cretino di due metri per due gli ho offerto anche da bere, ringraziandolo per esser stato motivo d’ispirazione.
D: Due parole al volo da dedicare a tutti i “Paolo” d’Italia.
R: Pregate e abbiate Fede. Emilio.
D: La prima volta che ti ho ascoltato, nonostante il cantato alla Rino Gaetano, ho trovato la tua poetica molto più vicina a quella di De Gregori ed alla sfrontatezza di Gaber: ci ho beccato?
R: Boh sono l’ultimo a cui puoi chiederlo perché ci sono troppo dentro. Di certo posso dirti che non sono mai stato un ascoltatore accanito riguardo al cantautorato. Lo sono più adesso che non prima dell’uscita del disco. Per cui tutto ciò che è finito dentro ai brani, probabilmente lo devo ad ascolti casuali più che cercati e voluti. Ovviamente il paragone con i personaggi da te citati mi onora e mi lusinga anzichenò.
D: L’ironia è uno dei tuoi punti di forza, eppure i tuoi brani sono molto malinconici. Da cosa deriva questo tuo dualismo?
R: Penso sia un dualismo naturale, l’ironia spesso è figlia di una visione malinconica e amara delle cose. Da noi si dice “ridiamo per non piangere”. Ma anche perché in fondo non mi voglio prender sul serio, soprattutto quando divento triste e pessimista. Quando sono triste divento noiosissimo.
D: Nei tuoi brani è ricorrente l’infanzia così come l’adolescenza, tanto da poter dire che nei tuoi testi fai dei brevi quanto intensi riassunti di una vita. Allo stesso modo è ricorrente il sesso, quasi come stessi facendo psicanalisi, di quella freudiana, e tu sia al contempo paziente e analista. Cosa ti “spinge” a scrivere in questo modo?
R: Scrivo come viene, per cui mi spinge qualcosa di oscuro e miracoloso e sopratutto non ricercato e meditato. Tutto ciò che posso dirti sui brani appartiene ad un’analisi ex post che non ha niente a che vedere con l’ispirazione genuina dalla quale sono nate le canzoni di questo disco. Possiamo parlarne ma non saprei proprio spiegarti un bel nulla, perché non ne ho la minima idea.
D: A chi è dedicata “Il Pugile”?
R: A me. Alla parte di me che non avrebbe mai pubblicato questo disco.
D: In “Italian Dandy” racconti di una storia d’amore, di una ragazza che a un certo punto rifiuti e lei ti sussurra “te ne pentirai”: te ne sei poi pentito?
R: Ogni giorno della mia vita. Soprattutto di non aver mai vissuto una vita e una storia d’amore così.
D: A questo punto dell’intervista direi che puoi pure dirmi quello che vuoi, quindi ti lascio libero di fare una qualsiasi dichiarazione, a briglie sciolte.
R: Ok grazie, lo farò.
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