«Io, Lupo e pastore, vi racconto l’inferno della Ciolandrea»
| di Luigi Martino«Piango perchè è morto un giovane di 27 anni, penso alla mamma, alla famiglia. Ed è come se avessi perso un figlio perchè chi conosce almeno una volta queste montagne, chi le attraversa, chi s’aggrappa a queste rocce, è come se fosse figlio mio, è come se facesse parte anche della mia famiglia». Saverio Gagliardo, 59 anni, è un pastore di San Giovanni a Piro. Conosce a menadito quell’inferno di rocce scoscese, rovi e trappole disseminate lungo la costa della Masseta, tra il pianoro di Ciolandrea e il vallone di Marcellino. Dove il soccorso alpino e speleologico ha trovato il corpo senza vita di Simon Gautier, il turista francese di 27 anni morto nel Cilento il 9 agosto e individuato quasi dieci giorni dopo, Saverio ci ha passato i giorni e anche le notti. A volte solo, altre volte in compagnia del suo gregge. D’inverno e d’estate ha percorso quel passo disegnato in mezzo alla macchia mediterranea da quelli come lui, che vivono la montagna sempre.
«Sapevo e ho segnalato a chi di competenza la concreta possibilità che il ragazzo fosse caduto in quel punto, dove il sentiero finisce improvvisamente – racconta – ma non sono andato a cercare in quella zona perchè ho seguito le disposizioni della sala operativa quando hanno chiesto il mio intervento e ho perlustrato il fazzoletto di terra che mi hanno assegnato insieme ai miei figli e a mio genero». Simon ha imboccato il sentiero della Molara da Scario, ha raggiunto la grotta dell’Acqua e poi la spiaggia dove ha passato la notte. «Chi va a caccia di cinghiali fa rotolare le carcasse sul litorale e poi le trasporta in barca, perchè una volta scesi giù, in quella zona tanto bella quanto complessa, non è possibile risalire facilmente» racconta Saverio. Poi a proposito di chi abita le caverne e chi funge da guardiano della zona, assicura di aver visto sempre, oltre ai cinghiali, «le volpi e i lupi scendere fino al mare».
E lo svela proprio lui, che negli anni si è guadagnato il soprannome di ‘Lupo’. Secondo molti è l’unico a saper raggiungere a piedi la spiaggia dei Francesi da San Giovanni a Piro. A qualsiasi orario e non badando alle condizioni meteorologiche. Dal paese ci porta le capre cilentane fin sulla spiaggia, per bere l’acqua del mare in modo da far assumere un sapore molto particolare al formaggio che produce con il loro latte. «Le responsabilità non sono solo del ragazzo che un po’ inconsciamente si è messo in cammino in una delle zone più pericolose del Cilento ma anche di chi gestisce quel pezzo di costa – afferma senza troppi giri di parole il ‘Lupo’ -. Il Parco nazionale del Cilento non deve pensare solo alle inaugurazioni e alle passerelle, i sentieri sono abbandonati, non esistono tabelle, non esiste una mappa dettagliata per questi escursionisti e non ci sono frecce. Molti cammini sono addirittura sbarrati dalla fitta vegetazione, altri sono ormai vecchi e in disuso. Qualcuno è tenuto bene ma solo grazie al lavoro e alla costanza del Cai (club alpino italiano) e di guide esperte che accompagnano perlopiù stranieri alla scoperta di posti bellissimi ma pieni di insidie».
Il 2 agosto il ministro all’Ambiente Sergio Costa ha inaugurato, insieme al sindaco di San Giovanni a Piro e al presidente del Parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, la terrazza del pianoro di Ciolandrea. Una settimana dopo, sotto alla stessa terrazza, lungo uno dei sentieri ‘fantasma’ che non esistono sulla cartografia e non sono controllati, Simon si è perso e nel tentativo di arrampicarsi sulla parete di roccia, è caduto e ha perso la vita. «Non basta il lutto cittadino e le fiaccolate in memoria di questa vittima della nostra terra, qualcuno ha chiesto scusa a Simon che si sarebbe perso nella ‘nazione sbagliata’. Come dargli torto. Ora è il tempo di riflettere e di rimboccarsi le maniche, che questa tragedia sia da esempio per tutti, frequentatori della montagna e istituzioni».
Nel 1974 un cercatore di origano perse la vita a poche decine di metri da dove è avvenuto l’incidente di Simon. Quarantacinque anni dopo molti sentieri sono come quel giorno, senza controlli, senza indicazioni. Forse affidati alle braccia del dio Pan, il dio Pastore e dei Pascoli, colui che, secondo la leggenda, aveva consegnato – nella notte dei tempi – ad una brava famiglia di caprari che pascolavano da sempre il loro gregge nel valloncello del Marcellino, il testo del cantico perchè venisse tramandato gelosamente da padre in figlio. Oggi la memoria è passata a Saverio che, tra una passeggiata e l’altra in questi monti, mantiene viva l’antica tradizione e con un’artistica fisarmonica e con il ritmato suono dei tipici tamburelli cilentani, con la voce rotta dall’emozione, il «prescelto» da Pan intona l’antico cantico ‘A’ Muntagna’. Nonostante solo poche parole siano comprensibili ad orecchie umane, questo cantico entra nell’anima, emoziona e fa pensare. Dopo averlo ascoltato non si è più gli stessi. «Da oggi lo canterò pensando a Simon, lui è ormai rimasto qui, in questa montagna, in questo mare» chiosa il Lupo.
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