L’epitaffio del Cantiere Sonoro: “Andate Tutti Affanculo”
| di Giuseppe Galato“Scappate!!! Arrivano le ruspe!!!”, grida un catatonizzato Andrea Appino, voce e chitarra degli Zen Circus, sul finale noise di questa tappa cilentana della band pisana.
Con la terza edizione dell’Indie Mon Amour si chiude infatti un’epoca (7 anni) per il Cantiere Sonoro: i ragazzi dell’associazione, che in quello spazio autogestito presso l’ex-mattatoio di Agropoli avevano messo su una sala prove per le band del posto ed un locale dove poter fare musica dal vivo, soprattutto in inverno, quando il Cilento manca di eventi per i giovani o per gli appassionati di musica live di qualità, si vedono “costretti” infatti a lasciare la loro “casa” a favore della costruzione di un teatro adiacente a quello che è diventato il nuovo palazzetto dello sport di Agropoli.
Ad ogni modo l’amministrazione comunale di Agropoli ha già promesso un nuovo spazio ai ragazzi che avranno modo, quindi, nei prossimi mesi, di poter spostare le proprie attrezzature ed i propri progetti in altri luoghi, si spera quanto prima possibile.
Assurdo, invece, lo spreco d’acqua (uno dei beni primari più importanti per l’umanità, soprattutto in un periodo storico dove si pensa in maniera del tutto schizofrenica di poterla privatizzare) che si è protratto per tutta la giornata di ieri all’interno di un bagno della costruzione: un lavandino rotto che continuava a far scrosciare acqua incessantemente, e che nessuno si è premurato di riparare nonostante la segnalazione presso gli uffici comunali da parte dei ragazzi dell’associazione Cantiere Sonoro.
La serata si apre con la band locale Maybe I’m: un concentrato di Blues, Bluegrass, Noise fatto da una chitarra, una batteria, una voce, un violino, bottiglie di vino e pile di CD da suonare. Il chitarrista-cantante Ferdinando Farro assomiglia ad un novello Francesco Di Giacomo.
A seguire una band prodotta dagli stessi Zen Circus, i Criminal Jokers, che a favore di una formazione scarna (chitarra, basso, voce-percussioni) riescono ad inscenare un live pregno di sudore fatto di note acide in un misto di sonorità vicine a quelle che furono proprie dei primi Rolling Stones o del Punk primigeno della seconda metà dei ’70.
Con un mix-up di voci provenienti dagli altoparlanti, esempio della “bella Italia”, dalle dichiarazioni shock di Borghezio alla Carfagna fino al discorso di Berlusconi sulle “caste” nel mondo del lavoro italiano, salgono sul palco, sulle musiche dell’Inno Di Mameli, gli Zen Circus, che aprono il concerto con “Gente Di Merda”.
Appino, Ufo e Karim ci chiedono com’è la situazione ad Agropoli, ci “implorano” di non dire per l’ennesima volta nei loro concerti che l’Italia è un “paese di merda”: ma le loro richieste non vengono soddisfatte dal pubblico.
Gli Zen Circus cantano dei disagi di un’Italia rovinata dal malgoverno, sia esso di destra o di sinistra, rovinata dalla religione, rovinata soprattutto dalle persone, dal popolo, che non si interessa di migliorare le cose ma preferisce rimanere succube del potere, succube di sé stesso.
Gli Zen Circus scherzano con il pubblico, ironizzano su questioni per niente ironiche, con sarcasmo, come da buona tradizione satirica italiana, come dei novelli Dario Fo o Gaber più sfrontati e sanguigni.
Ed hanno una tenuta di palco che poche altre band possono vantare (nonostante il live duri troppo poco facendo uscire fuori scaletta tanti brani imprescindibili dell’ormai vasta produzione su disco del Circo Zen).
Fino all’ultimo urlo, fino all’ultima goccia di sudore, fra i feedback degli strumenti ed il caos sonoro che forse è meno caotico della realtà che ci circonda e che gli Zen Circus riescono a ritrarre con sagace e acida ironia.
Foto a cura di Alidavid Khomejany Farahani
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