La magia delle parole: la necessità di scrivere e condividere il proprio mondo
| di Orazio RuoccoMi capita, per fortuna del lettore, solo qualche volta, di scrivere un articolo su questo Giornale che, generosamente, lo accoglie fra le sue interessantissime pagine. E, puntuale, ad ogni occasione, ritorna, quasi istintiva, la domanda:”Scrivere… Ma perché? E poi per chi? E, soprattutto, che senso ha?”
Qual è la molla che spinge un uomo, una donna, a parlare di sé, dei propri sentimenti, a mettersi a nudo, a togliere i veli che pudicamente occultano il proprio mondo interiore, quanto forse ha di più intimo, per darlo, temerariamente, in pasto a chi nemmeno si conosce, si immagina. Perché un viaggio introspettivo, personalissimo, deve qualche volta concludersi con un fedele resoconto, una cronaca pubblica, un racconto più o meno colorito di stati d’animo, emozioni, idee, convincimenti, passioni, amori?
La prima ragione, quella che, direi, quasi spontaneamente per prima si affaccia nella mente delle persone, è la vanità. Molti pensano che chi scrive faccia lo “snob”; che uno possa farlo soltanto per darsi una raffinata e presuntuosa visibilità, quando invece l’indifferenza e lo scherno sono impietosamente in agguato, dietro l’angolo. Chi scrive sa bene che questo pericolo esiste, che è concreto; incombe duramente sulla sua persona e su quanto esprime.
Credo che per ciascuno di noi, e sicuramente per me, scrivere nasca dall’impellente bisogno di dire qualcosa che si serba dentro e che, ad un certo punto, non si riesce più a trattenere e a tacere. È un’urgente premura di dare corpo a parole che si accavallano e si sovrappongono nella fretta di tuffarsi nel candore bianco del foglio. C’è voglia di raccontarsi senza veli, con sincerità, sfidando anche la censura dell’ipocrisia, per consegnarsi, alla fine, indifesi, quasi in segno di resa, all’occasionale lettore, chiedendo soltanto condivisione di sentimenti.
Ma scrivere, secondo quanto diceva Foscolo, è anche un’illusione. Si scrive sperando di lasciare una traccia di sé, qualcosa che gli possa sopravvivere. Si scrive per dire quello che poi conta veramente nella propria vita. Per tentare di colmare un vuoto, per farsi capire trovando le parole giuste, adatte, quelle che maggiormente potranno penetrare nel cuore di chi legge. Per non lasciare che il tempo, con la freddezza del vento che corre, cancelli i ricordi e semini oblio detro di te.
Scrivo perché le parole danno un senso a quello che vivo e percepisco nel rapporto con gli altri e con ciò che mi circonda. Mi consentono di ritrovare il filo smarrito della mia esistenza. Aggiungono qualcosa di impensato, inimmaginato al rompicapo della mia vita. Anche quando sprizzano collera, delusione o dolore. Anche quando spesso, rileggendole, mi deludono, perché non rispecchiano il mio stato d’animo, o si rivelano insufficienti ad esprimere quanto pulsa vigorosamente dentro di me. E anche quando, forse a ragione nessuno ha voglia di leggerle e ascoltarle!
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