La memoria delle foibe e l’esodo giuliano-dalmata raccontato da Sergio Endrigo in “1947”

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La memoria delle foibe e l’esodo giuliano-dalmata raccontato da Sergio Endrigo in “1947”

Nessun eccidio può avere una giustificazione ideologica. La persona umana è al di sopra di ogni cosa
L’ orrendo eccidio delle foibe ebbe come conseguenza quasi ineluttabile l’esodo dalmata-giuliano.
Ci sono modi e modi per non dimenticare per far si che l’oblio non possa cancellare ogni cosa. Sergio Endrigo, cantautore appartenente alla cosiddetta “scuola genovese”, vincitore nell’ anno 1968 del Festival di Sanremo, si ritrovò a vestire i panni di uno dei molti “profughi giuliani e dalmati” dovendo abbandonare con la famiglia la natìa Pola, passata alla Jugoslavia proprio a causa degli esiti della sconfitta italiana nella Seconda Guerra Mondiale. Lasciare la propria casa, gli amici, l’ambiente la strada dove camminava tutti giorni all’improvviso gli ispirò una struggente elegia della sua città perduta , dal titolo 1947. Un giorno disse: “L’ho cantata pensando non tanto a me, che ero ragazzino, quanto a loro, ai grandi”.

1947

“Da quella volta non l’ho rivista più
Cosa sarà della mia città
Ho visto il mondo e mi domando se
Sarei lo stesso se fossi ancora là

Non so perché stasera penso a te
Strada fiorita della gioventù
Come vorrei essere un albero che sa
Dove nasce e dove morirà

E’ troppo tardi per ritornare ormai
Nessuno più mi riconoscerà
La sera è un sogno che non si avvera mai
Essere un altro e invece sono io

Da quella volta non ti ho trovato più
Strada fiorita della gioventù
Come vorrei essere un albero che sa
Dove nasce e dove morirà

Come vorrei essere un albero che sa
Dove nasce e dove morirà.”

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