La nascita di Marina di Camerota
| di Marianna Vallonedi Angelo Gentile
C’è chi vuole far risalire la nascita dell’attuale centro rivierasco di Marina al Decreto Regio del 17 luglio 1848 e, infatti, compare con questo nome nell’elenco ufficiale dei comuni e dei villaggi compilato dal De Sanctis del 1854, unito al comune di Camerota.
Esistono altre fonti diplomatiche, dirette od indirette (come suggeriscono le informazioni incrociate e ragionate) che fanno risalire la data di nascita a più di un secolo prima. Tra le fonti dirette oltre ad atti pubblici ci sono le fondazioni e/o l’esistenza di manufatti con date certe come quella del 1616, quando a pianterreno in un casino di proprietà del marchese Orazio Marchese fu fondata una cappella, S. Nicola, con annessa sepoltura. Al di sopra del luogo sacro alcuni piccoli vani che servivano di abitazione e da taverna, più in là, sempre sulla riva destra del torrente, per chi guarda dal mare, un pozzo di acqua sorgiva. E’ vero che le coste mediterranee erano scarsamente popolate per il pericolo reale dei pirati e solo nell’Ottocento le marine divennero abitabili, ma non si può negare la frequentazione continua della zona di Marina, almeno intorno alla data del 1616, proprio per la consacrazione di un luogo sebbene piccolo a cappella. Perché una cappella se il luogo è disabitato? Perché un piccolo cimitero? Perché una taverna? Queste domande implicano ovviamente una risposta: il luogo era frequentato in modo continuo, una delle porte al cosiddetto Stato di Camerota, l’altra era a Porto Infreschi e l’altra al Mingardo. A onor del vero si può indicare l’attuale Marina come porta anche per un’altra fonte: la Torre Lajella, eretta prima del 1532 dalla famiglia Di Sangro per proteggere il feudo, è di avvistamento, alta ben 18 metri, posta in posizione da controllare il facile attracco alla spiaggia, fornita con due falconetti, due smerigli e balestre, con 5 uomini di guardia (conosciamo il nome del responsabile, tale Vincenzo de Cammarota) di contrasto alle offese dei pirati.
Attraverso un documento citato dallo storico O. Pasanisi si può ragionare su un’informazione riportata nel suo testo “Camerota e i suoi Casali”: la negazione della Regia Curia a concedere ai Di Sangro il diritto di falangaggio onde rifarsi delle spese rilevanti per la ricostruzione della torre dopo l’aggressione dei barbareschi del 12 luglio 1552. Se i Di Sangro chiedevano il diritto di attracco, ciò vuol dire che delle imbarcazioni frequentavano il nostro litorale e non saltuariamente, altrimenti non si sarebbe chiesto da parte del feudatario l’esazione di un diritto. Quale ricavo se i viaggiatori erano scarsi? Si può ipotizzare una frequentazione del litorale per entrare nel feudo, via mare, atteso che le strade terrestri erano inesistenti: solo sentieri malagevoli. La costruzione delle torri costiere decise nel 1566 e portate a termine con alterne vicende solo a cavallo del 1600 fa pensare ad una presenza di costruttori e manovalanza per le stesse costruzioni. Alla fabbrica sovrintendevano persone non del luogo che si trasferivano sul posto per controllare i lavori di cui erano responsabili; i braccianti, uomini e donne erano locali, anche perché le costruzioni ricadevano sulla popolazione: chi non poteva pagare in soldi corrispondeva in giornate lavorative. La presenza di una cappella per i riti fa sospettare, poi, la presenza di persone/fedeli e così pure l’esistenza di una taverna annessa, a chi serviva se la zona non era abitata? Attraverso contratti notarili sappiamo che i terreni intorno alla torre venivano fittati come pascolo per gli animali destinati alla macellazione per rifocillare i viandanti; la famiglia Pinto di Lentiscosa è fra gli affittuari, come da documento in mio possesso. Nel 1616 la cappella fu abbellita di un’icona raffigurante S. Nicola. Perché migliorarla? Altra notizia certa, nel 1708 si celebra un matrimonio tra Anna Pinto di Lentiscosa e Filippo Attanasio di Positano, la coppia vive nelle casette attaccate alla cappella e avrà sette figli. Il 25 dicembre del 1711 nel piccolo cimitero viene seppellito tale Perrone Domenico dopo la celebrazione del rito funebre officiato dal parroco di Lentiscosa Francescantonio Pezzuti, l’espressione della registrazione è chiarissima “propri lidus mari”. Dicembre, periodo di non navigazione abituale: ab antiquo il periodo da novembre fino a marzo era considerato pericoloso per chi frequentava i mari, come mai questo signore si trovava sul litorale di Marina? Forse di passaggio, ma atteso il periodo, forse stazionava momentaneamente sul litorale. Ancora, il 30 marzo 1724 “Agnellus Lacampa terrae Sancti Joanny Totucci (S. Giovanni a Teduccio, Na) in marina terra Lentiscosa et proprio in domo Ecc.lmi M. Marchionis animam Deo reddit monitus omnibus ecclastius Sacramentis per me Dnum Franceum Pezzuti Arch.te terre Lentiscose et humatum etiam fuit in sacello S. Nicolai propre rivam eiusdam marina ita”. Questo decesso e sepoltura ricorda che le abitazioni sono di proprietà del marchese.
Nello stesso anno 1724, addi 13 ottobre si cita per la prima volta l’esistenza di un casalino “situ in marictima”, Felice di Cetara, anni 60 muore nel palazzo (NON castello!) del marchese, l’officiante è il sacerdote Rotuolo Paolo. Il decesso di due persone in case di proprietà del marchese fa pensare a famiglie che lì vivevano. La data più interessante è il 1727, 12 giugno, in un contratto notarile si dice Marina di Camerota e questo nome è ripetuto nel 1736: tale Gaspare Guida di Vico Equense muore in “maritima dicta di Cam.ta in restricto huius terre Lentiscose”, seppellito nel piccolo cimitero. Negli anni vicini seguono altri decessi come quella di un bimbo Gennaro Mazzeo e poi nel 1749 si ha la conferma chiara e definitiva: Tale Luca Talamo di Positano muore “in nostra maritima vulgo dicta Marina di Camerota”.
Concludendo esisteva un piccolo casale al 1724, la zona viene identificata come Marina di Camerota al 1727, nome poi confermato negli anni successivi da più documenti che ci parlano di famiglie venute ad abitare il litorale, litorale che ricadeva per metà sotto Camerota e l’altra metà sotto Lentiscosa, definite dal torrente Isca (o delle Fornaci o di Trinta) e tale divisione rimarrà fino al 1848.
Angelo Gentile – nato a Lentiscosa, già docente di Italiano e Storia e dirigente scolastico, ha pubblicato le seguenti ricerche archivistiche: Le industrie tessili nella Valle dell’Irno: i fondatori, le maestranze. Salerno, 1974; Il santuario di S. Rosalia, storia e leggenda; Salerno 1983; Tra Capo Infreschi e Capo Palinuro; Salerno 1984; Caselle in Pittari: un paese una storia; Salerno 1984; Marina di Camerota; la perla del Cilento; Salerno 1988; Lentiscosa, tutte le chiese; edito in S. Gerardo Maiella (Av) 1997; Excursus storico; Salerno 1998; Morigerati; commissionato da Comitato Parchi Nazionali, Salerno 2001. Santa Rosalia e Lentiscosa, storia civile e religiosa di un paese del Cilento, Salerno, 2008; l’ultimo libro è “La banda Marino, la rivolta antiunitaria nel Cilento tra conquista coloniale, rivolta popolare e brigantaggio”, D&P editori, luglio 2019.
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