La retata dei buttafuori: così il capoclan fu tradito dal suo killer

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La retata dei buttafuori: così il capoclan fu tradito dal suo killer

«Black angels»: così erano conosciuti nell’ambiente i buttafuori arrestati ieri. E attraverso il profilo Facebook di Salvatore Lo Bosco c’erano diverse foto che lo ritraevano con Salvatore Fedele, lo stesso Walter Castagna e il romeno detto Giovannone, in tenuta di operatori addetti alla sicurezza, spesso con divise riportanti il logo «black angels», all’interno di varie discoteche, bar, villaggi turistici per lo più nei comuni di Battipaglia, Eboli, Capaccio e Salerno. Immagini in cui il gruppo «si presenta con un’ostentazione tale da cui si evince l’attività intimidatoria messa in pratica», ha affermato il pm Rotondo. Sentite a sommarie informazioni una serie di persone, c’è chi ha riferito che nei «locali di Battipaglia si vedevano sempre loro» lavorando molto al Barbanera, al Miras, al Made in Italy in Litoranea e al bar Time a Montecorvino Rovella. La notizia la riporta stamattina il quotidiano Il Mattino di Salerno.

Colui che gli inquirenti ritengono a capo del gruppo, Walter Castagna, è una vecchia conoscenza delle forze dell’ordine essendo stato ritenuto in passato un sodale al clan «dei ragazzi di via Irno», il gruppo opposto agli Stellato. Ultimamente è finito sotto processo a Nocera Inferiore per maltrattamenti nei confronti della sua ex. In passato, quando decise di collaborare con la giustizia per poi ritrattare la stessa collaborazione, gli inquirenti trovarono spesso i suoi racconti dissonanti con quelli di altri pentiti. E dopo essere uscito dal programma di protezione per testimoni, ha tentato di ricostruirsi una vita ma a quanto pare non riuscendovi e continuando ad attuare propositi criminosi come «eliminare fisicamente un soggetto ritenuto scomodo per l’affermazione della sua supremazia nel settore oltre che per antichi contrasti mai sopiti», scrive il gip in ordinanza.

Persona «molto vicina a lui», tanto da chiedergli di uccidere il Quaranta, è Vincenzo Cortiglia, già indagato per traffico internazionale di stupefacenti, ed arrestato ad ottobre scorso per rapina quando fu anche trovato in possesso di una Glock 9×21 e di una pistola a salve calibro 8, a dimostrazione come sia semplice per lui reperire armi ed occultarle. È stato lui, dopo aver desistito a compiere l’omicidio Quaranta, a riferire ai carabinieri di Battipaglia il progetto delittuoso.

Gli altri due indagati, Salvatore Fedele e Salvatore Lo Bosco, sono ritenuti soggetti «abitualmente dediti all’utilizzo della violenza trattandosi di esperti picchiatori», come si evince dalla intercettazioni. Ad essere ben inserito nel contesto criminale, secondo le accuse, nonostante la funzione da lui rivestita, è l’agente di polizia penitenziaria Massimiliano D’Ambrosio, che partecipa attivamente all’affermazione del gruppo oltre ad aver assistito al pestaggio commissionato da Salvatore Lo Bosco nei confronti del figlio, senza intervenire né denunciare l’accaduto, ma anche disponibile ad informarsi personalmente sulla ditta che gestiva la sicurezza al Palasele ad Eboli.

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